venerdì 28 settembre 2012

UNISABAZIA 2005/06 - 2 - Siddhartha Shakyamuni, il Buddha: storia e mito

Il futuro Buddha nasce nel 566 a.C. (data più comunemente adottata) a Lumbini, nei pressi di Kapilavasthu, capitale della repubblica degli Shakya (al confine, attualmente, tra India e Nepal).
Il suo nome, alla nascita, è Siddhartha Gautama Shakyamuni: Siddhartha significa “Colui che ha raggiunto lo scopo”, Gautama deriva dal nome di un antico saggio indiano, Shakyamuni vuol dire “Il saggio degli Shakya”, e si ricollega alla sapienza cui perviene chi fa il voto del silenzio (muna). Il termine Buddha è invece un aggettivo, che significa Risvegliato, Illuminato, e gli è attribuibile in realtà solo a partire dal momento dell’esperienza del Risveglio, all’età di circa 36 anni.
Nell’India antica la biografia come genere letterario non era praticata, e quindi molte delle “notizie” relative alla vita del Buddha si ricavano da testi molto più recenti (ad es. il Buddhacharita, ovvero Le gesta del Buddha, di Asvaghosa, del I sec. d.C.), oppure all’interno dei discorsi dello stesso Buddha (i Sutra), e quindi in un contesto di insegnamenti che non hanno finalità storiche o biografiche. O meglio, anche le notazioni biografiche sono esse stesse insegnamenti.
Inoltre, una vera biografia del Buddha non potrebbe prescindere dalle sue passate vite, alla cui piena conoscenza egli giunse nel momento del Risveglio!
Padre di Siddhartha è Suddhodana, Raja eletto degli Shakya. La madre è Maya, o Mayadevi, o Mahamaya. È interessante osservare che Maya, nel mondo hindu, significa “illusione”, e indica un potere sovrannaturale, in contrasto con la norma (cfr. in italiano “magìa”). Mayadevi è il nome della dea che personifica tale potere di creare illusione. Il “velo di Maya” è ciò che oscura all’uomo la visione delle vera natura del mondo, dei fenomeni.
La notte del concepimento, Maya vede in sogno un elefantino bianco con 6 zanne, simbolo di regalità, che penetra nel suo corpo, senza dolore. Scrive Asvaghosa: “Ella ricevette senza impurità il frutto del suo grembo, così come dà frutto la conoscenza unita alla contemplazione” (BCh. I,3).
Dieci mesi dopo, Maya è colta dai segni del parto mentre, come di tradizione, si reca presso la propria casa paterna. Così, nel parco di Lumbini, fuori dalla città e dal palazzo, nasce, ancora senza dolore, Siddhartha. Subito, egli compie sette passi sicuri, dietro ai quali spuntano fiori di loto, ed afferma: “Per conseguire l’Illuminazione io sono nato, per il bene delle creature; questa è la mia ultima esistenza nel mondo” (BCh. I,15).
 
Nascita di Siddhartha
Si narra che alla nascita la Terra abbia tremato, che fiori siano caduti dal cielo e che schiere di divinità si siano affollate nel bosco per vederlo. Come i brahmani spiegano al padre, tutti questi segni ed altri ancora indicano che Siddhartha diverrà o un grande monarca universale o un “Santo conoscitore della verità”, un Risvegliato.
Sette giorni dopo il parto, Mayadevi muore, e il piccolo è affidato alle cure della sorella della madre, Mahaprajapati. Le profezie dei veggenti preoccupano Suddhodana, che teme l’estinzione della sua casata. Poiché gli era stato detto che Siddhartha avrebbe lasciato il palazzo per ricercare la via della liberazione dal dolore, il Raja fa in modo di allontanare dalla vita del figlio ogni traccia di sofferenza, escludendo dalla sua vista persone malate, vecchi, morti, ogni tipo di difficoltà, e lo circonda di giovani, di servitori, di danzatrici, di feste, di musica, sempre all’interno dei suoi palazzi. A 16 anni gli dà in sposa una bellissima cugina, Yasodhara, e a 29 anni Siddhartha diviene padre di un maschio, Rahula. Il nome significa “eclisse” (infatti nasce durante un’eclisse), ma vuole anche dire “nodo, impedimento, ostacolo”, ed è quindi molto significativo.
Ma la vita di palazzo non soddisfa il bisogno di Siddhartha di una maggiore realizzazione sul piano spirituale. Egli vuole conoscere il mondo reale, ed ottiene il permesso di compiere delle visite fuori dalla reggia. Nonostante gli sforzi del padre, che fa allontanare dalle strade i vecchi, i mendicanti, i sofferenti…, Siddharta incontra, nel corso delle sue uscite, un vecchio, un malato, un cadavere portato alla cremazione ed un asceta mendicante, un samana.
A questo punto, Siddhartha decide di abbandonare la vita famigliare e di corte, per dedicarsi alla ricerca spirituale, avendo sviluppato questo pensiero altruistico: “E’ ben misera cosa che l’uomo, soggetto lui stesso e contro la sua volontà alla legge di malattia, vecchiaia e morte, reso cieco dalla passione, non si curi, nella sua ignoranza, degli altri che sono tormentati dalla vecchiaia, sono malati o morti. Se, io stesso essendo tale in questo mondo, non mi curassi degli altri che hanno una natura come la mia, ciò non sarebbe confacente o conforme a me che conosco questa suprema legge” (BCh V,12-13). Quindi, si allontana dal palazzo, mentre tutti sono indotti dagli dei in un sonno profondo, lascia tutti i suoi ornamenti, si rade i capelli e indossa un saio color ocra, unendosi ai gruppi di asceti ed eremiti che già vivono nelle foreste.
Suoi primi maestri nella ricerca spirituale sono Alara Kalama e Uddaka Ramaputta. Ne realizza in breve tempo gli insegnamenti e si rivolge ad altre tecniche meditative, a digiuni, a pratiche ascetiche talmente estreme che, dopo sei anni, è ridotto allo stremo delle forze.


Il Buddha "ascetico"

 Ma non ha raggiunto ciò che cerca, una soluzione permanente, definitiva, al problema della sofferenza di tutti gli esseri senzienti.
Come era insoddisfacente la sua precedente vita di piaceri, così lo è ora la via ascetica, estrema, che sta percorrendo. Più appropriata è una “Via del Mezzo”, nella quale i desideri non vengono né soddisfatti smodatamente né repressi. Torna quindi a nutrirsi regolarmente, e ricomincia la pratica della meditazione così come già la conosceva, anche se per questo viene abbandonato dai cinque asceti con cui vive nella foresta. Prende dell’erba appena tagliata, ne fa una specie di cuscino ai piedi di un grande albero pipal (ficus religiosa), e lì siede a gambe incrociate, dopo aver fatto voto di non rialzarsi senza aver prima conseguito lo scopo della sua ricerca.
Ovvero la Conoscenza che libera dalla sofferenza. Entrato in profonda meditazione, affronta le schiere del dio Mara, il Tentatore, che cerca prima di sedurlo con le sue bellissime figlie e poi di terrorizzarlo con il suo esercito di mostri e demoni. Conosce tutte le sue precedenti esistenze, osserva il ciclo di nascita, morte e rinascita di tutti gli esseri in rapporto alle loro azioni positive e negative (il karma), diviene consapevole della sofferenza, delle sue cause, del modo di guarirne, è cosciente di aver definitivamente sradicato cupidigia e ignoranza. È il nirvana, la fine del ciclo delle rinascite, il Risveglio. Ancora una volta Mara lo attacca, mettendo in dubbio il conseguimento del Risveglio. Ma il Buddha, toccando la Terra con la mano destra, ne chiede la testimonianza. E la Terra conferma l’Illuminazione del Buddha.
È l’alba, e il Buddha (che sarà anche chiamato il Beato, il Sublime, il Perfetto, il Vittorioso, il Beneandato, il Compiuto..) alza gli occhi verso la Stella del mattino.
Per sette giorni rimane seduto sotto l’albero del Risveglio, dubitando se sia possibile divulgare ciò che ha realizzato, poiché vede “che il mondo si perdeva dietro alle false opinioni e agli sforzi vani e che le sue passioni erano grossolane” (BCh XIV, 96). Poi, spinto dalla compassione, decide di donare al mondo i suoi insegnamenti, il Dharma.
Dopo aver lasciato Bodh Gaya, luogo del Risveglio, il Buddha inizia una vita di insegnamento e di predicazione, continuando nel contempo la pratica della meditazione, che terminerà solo con la morte, il Parinirvana, l’estinzione definitiva, all’età di 80 anni.
Suoi primi uditori e discepoli sono i cinque asceti che lo avevano lasciato, e che egli ritrova a Sarnath, a 6 km. da Varanasi (Benares). Ad essi, nel Parco dei Daini, egli rivolge il primo sermone, sulle Quattro Nobili Verità, noto anche come il Primo Giro della Ruota del Dharma. I cinque asceti ricevono l’ordinazione e divengono i primi monaci (bhikku) del Samgha, la Comunità dei praticanti. Cinque anni dopo, il Buddha, dopo molte insistenti richieste, acconsente alla formazione di un ordine di monache (bhikkuni), del quale entrano a far parte anche la zia e madre adottiva, Mahaprajapati, e la moglie Yasodhara. Lo stesso figlio Rahula era divenuto discepolo del Buddha e monaco. Questa ordinazione aveva provocato una volta di più l’incomprensione di Suddodhana, il quale aveva accettato a fatica, e solo dopo molto tempo, le scelte del figlio. Quando il Buddha era rientrato per la prima volta a Kapilavasthu, e qui mendicava il cibo, come era tradizione per i monaci, il padre lo aveva accusato di disonorare il clan degli Shakya, dicendo “Nessuno dei nostri antenati ha mai mendicato il suo cibo”. Ma il Buddha gli aveva risposto: “O re, tu discendi dalla successione dei re, ma io discendo dalla successione dei Buddha, e ognuno di loro ha mendicato il cibo giornaliero”. Alla fine, sarà però il Buddha stesso ad accompagnare verso l’Illuminazione il padre morente.
Su questa seconda parte della vita del Buddha non si hanno molte notizie storiche. Sicuramente viaggia da una città all’altra dell’India di Nord Est, insegnando a qualsiasi tipo di persona: uomini e donne, re e prostitute, mandriani e brahmani.
Intanto il numero dei discepoli laici e dei monaci continua a crescere, e nascono così dei centri di residenza, soprattutto per la stagione delle piogge. Sono i primi monasteri, detti vihara, che vengono donati al Samgha dai raja o da ricchi protettori.
Molti sono gli episodi della sua vita raccontati nei Sutra a mo’ di insegnamenti. Una volta scongiura una guerra, ricordando che la vita degli uomini ha un valore molto più elevato di quello delle terre e delle acque. Un’altra, converte il brigante Angulimala, il quale lo rincorre per ucciderlo ma non riesce a raggiungerlo, nonostante il Buddha cammini tranquillamente. Alla fine, stremato, il brigante si ferma e il Buddha gli dice: “Siediti, e ascolta il Dharma”. Moltissime parabole, che hanno anche profondamente ispirato la letteratura, la pittura, la scultura, di tutta l’Asia.
Le ultime fasi della vita del Buddha sono invece narrate nel Mahaparinirvanasutra, il Sutra del Nirvana Definitivo. Ormai vicino agli ottanta anni, il Buddha viene avvicinato dal dio Mara, il quale gli chiede di estinguersi, e il Buddha acconsente, dicendo: “Sarai soddisfatto, o Maligno, tra non molto vi sarà l’estinzione del Compiuto, tra tre mesi il Compiuto si estinguerà” (III, 10). Si dice infatti che un Buddha abbia il potere di decidere il momento della propria estinzione, abbandonando gli impulsi karmici che tengono in esistenza il corpo degli esseri viventi.
Poco tempo dopo, il Buddha e i monaci vengono ospitati dal fabbro Cunda, il quale offre loro una pietanza di funghi (o forse di carne di maiale). Il Buddha la accetta per sè, ma prega Cunda di seppellire il resto di quel cibo, e di dare invece ai monaci altre cose da mangiare. A causa di quella pietanza il Buddha si ammala gravemente. Viene portato a Kusinara e lì, in un boschetto, nella posizione del leone, cioè steso sul fianco destro, circondato dai monaci e da schiere di divinità, si avvicina al momento dell’estinzione.
Dà ai monaci gli ultimi insegnamenti, ad es. sul comportamento più consono per un monaco nei confronti delle donne. Ananda, uno dei monaci più importanti del Samgha, chiede: “Quale deve essere il nostro comportamento con le donne?”. “Non vederle”. “Ma, vista, o Sublime, una buona donna, quale è il comportamento?”. “Non rivolgersi a lei”. “E di colui che le si deve rivolgere, quale il comportamento?”. “Consapevolezza, o Ananda, è da usare” (V, 9).
Poi spiega loro cosa fare del suo corpo e dei suoi resti dopo la cremazione. Consola Ananda, dicendogli di non piangere, poiché come potrebbe “ciò che è nato, divenuto, nominabile, elemento dissolubile, non essere dissolto?”. Infatti “di tutte le cose piacevoli, gradevoli, è naturale il mutare, è naturale il separarsi, è naturale il diversificarsi” (V, 14).
Infine, pronuncia le sue ultime parole: “Ora, o monaci, io vi esorto: tutti i dharma condizionati sono destinati a decadere. Continuate ad esercitarvi, instancabilmente” (VI, 7).
Quindi, abbandona il corpo ed entra nel nirvana definitivo. E’ il 486 a.C. Secondo la tradizione, è lo stesso giorno in cui il Buddha era nato, a Kapilavasthu, ed era pervenuto al Risveglio, a Bodh Gaya. Il cadavere viene cremato ed i resti sono divisi tra i capi dei popoli che abitano quei territori. Tutte le reliquie vengono custodite nei monumenti funerari, detti stupa (in tibetano chorten). Si narra che il Buddha stesso abbia insegnato come costruire uno stupa, piegando più volte il suo mantello (la base quadrata), sovrapponendole la ciotola per il cibo rovesciata (la parte centrale, semisferica), e sopra a tutto il bastone (la parte terminale).
Alla morte del Buddha, il monaco Anuruddha aveva recitato questi versi:

“Senza inspirare ed espirare, sereno, con mente risoluta,
il Saggio, libero dai desideri, ha finito il suo tempo.
Con mente stabile ha sopportato ogni dolore:
come l’estinguersi di una lampada fu la liberazione della sua mente” (VI, 10).


                          
Schema-base di uno stupa
m. Mauro Tonko, settembre 2005                                                                                 

2 commenti:

  1. Ciao, volevo sapere se per caso hai tratto questo articolo dal libro "Miti dell'India e del Buddhismo" pubblicato dalla casa editrice Laterza.

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    1. Ciao, ho utilizzato testi classici come il Buddhacharita di Asvagosa, altri recenti ad es. la Vita di Buddha di Coomaraswami (che poi fa parte di quello da te citato), La Vita di Siddhartha di Thich Nhat Hanh, e testi più accademici, come la Storia del Buddhismo della Pezzali e l'ottimo Buddha storico di Schumann.

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