venerdì 28 settembre 2012

UNISABAZIA 2005/06 - 3 - L’Insegnamento: la sofferenza, le sue cause, la Via che va al di là

La ruota dell'esistenza ciclica condizionata
“In passato come adesso ho spiegato solo questo: la sofferenza e la fine della sofferenza”. Queste parole del Buddha chiariscono quale sia l’ambito della sua esperienza e del suo insegnamento: il dolore, la conoscenza delle sue cause e la fine del dolore per gli esseri senzienti.

Il termine sanscrito che viene di norma tradotto con “sofferenza” o “dolore” è duhkha. Il significato etimologico può essere d’aiuto per la comprensione degli insegnamenti del Buddha: il prefisso DU(S) indica un “cattivo funzionamento” (diverrà in greco dys e in italiano dis, ad es. disfunzione). KHA si riferisce invece alla cavità centrale di una ruota. Quindi, si ha l’immagine di una ruota che gira in modo anomalo sul proprio asse.
E la ruota rimanda subito alla concezione ciclica, circolare, dell’esistenza, tipica delle tradizioni orientali. E’ il samsara, il ciclo di nascita, morte e rinascita, regolato e alimentato dal karma (che non è il “destino”, bensì l’effetto delle azioni, virtuose o negative, compiute nelle esistenze passate e suscitate dalle passioni nate dall’ignoranza).
Duhkha è quindi più del dolore comunemente inteso, non è solo una assenza più o meno momentanea di gioia. E’ frustrazione, disagio, imperfezione, insoddisfazione. E’ dolore, in tal senso, anche la stessa felicità, in quanto fondata sull’impermanenza dei fenomeni. “Tutto ciò che è impermanente è duhkha”, ha detto il Buddha. E nel 1233 il M° zen Dogen ha scritto: “i fiori cadono proprio mentre per affetto li vorremmo trattenere, le erbacce crescono proprio mentre noi con disgusto le rifiutiamo”.
Ma la Via del Buddha non è la Via del pessimismo o della rassegnazione come spesso si dice: è invece permeata dalla compassione e dalla superiore gioia della liberazione. “In ambito cristiano – ha scritto il monaco zen Giampietro Sono Fazion – sarebbe come considerare la crocifissione senza la risurrezione”.
Lo dimostra il Sutra (= filo di una collana, ma qui significa discorso) al quale si farà ora riferimento per compiere un ulteriore passo di avvicinamento agli insegnamenti originari del Buddha.
E’ il Dharmachakrapravartanasutra, il Discorso della messa in moto della Ruota del Dharma, che riporta il primo sermone tenuto dal Buddha, 49 giorni dopo il Risveglio, nel Parco dei Daini di Sarnath, ai 5 asceti con cui aveva praticato in precedenza. Il Sutra è anche conosciuto come il Discorso delle Quattro Nobili Verità, laddove per Verità si intendono delle conoscenze di ordine superiore che, solo se praticate e non accettate dogmaticamente, possono portare l’uomo alla liberazione. Come ha detto il Maestro Zen vietnamita Thich Nhat Hanh, “un Sutra non costituisce di per sé un’intuizione profonda…è un mezzo per presentare quell’intuizione, utilizzando parole o concetti”. Non è la luna, è solo il dito che la indica.
Dopo aver chiarito ai 5 asceti che “coloro che hanno abbandonato la vita mondana non devono indulgere ai due estremi”, cioè “dedicarsi al godimento dei piaceri sensuali” oppure “dedicarsi alla mortificazione di se stessi”, il Buddha inizia ad esporre le Quattro Nobili Verità.

La Prima Nobile Verità è la Verità della Sofferenza: “la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non si ama è dolore, la separazione da ciò che è caro è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore. In breve, i cinque aggregati dell’attaccamento [che costituiscono la persona e danno origine alla falsa idea del sé] sono dolore”.
Duhkha può essere visto sotto tre aspetti:
a) la comune sofferenza (detta sofferenza della sofferenza)
b) la sofferenza del cambiamento: ogni fenomeno composto è impermanente, e questo genera sofferenza
c) la sofferenza onnipervasiva, legata ai 5 aggregati.
Quest’ultimo punto corrisponde alla natura profondamente insoddisfacente dell’esistenza condizionata (samsara). Per capirlo, è necessario ricordare che nel buddhismo l’io, l’individuo (come tutti i fenomeni composti nell’universo) non ha una esistenza propria, autonoma, permanente. Esso è solo una combinazione temporanea e mutevole, un flusso, di energie fisiche e mentali, appunto i “cinque aggregati dell’attaccamento”, che sono:
1) la forma (il corpo e i fenomeni di ordine fisico)
2) le sensazioni (esperienze sensibili)
3) le percezioni (riconoscimento delle cose di cui si fa esperienza)
4) le formazioni karmiche o della volizione (automatismi di pensiero, abitudini, che condizionano il presente e il futuro)
5) la coscienza (riunisce le informazioni degli altri aggregati).
In quanto fenomeno composto, l’io è soggetto a nascita e distruzione, e l’attaccamento all’idea di un io autonomo e permanente è causa di sofferenza.

La Seconda Nobile Verità è l’Origine della Sofferenza. Essa “è questa sete che produce la rinascita, che è legata al godimento delle passioni, che cerca sempre nuovi piaceri ovunque, ossia la sete dei piaceri dei sensi, quella dell’esistenza e quella della non-esistenza”. Le sofferenze hanno quindi origine nel desiderio insaziabile, ma non solo, anche nelle passioni, nate dall’ignoranza, nel desiderio di rinascite superiori o di auto-annullamento. Il Buddha paragonò tutto questo ad un fuoco: “O monaci, vi sono questi tre fuochi: il fuoco della brama, il fuoco dell’avversione, il fuoco dell’ignoranza”. Sono i Tre Veleni, attraverso cui accumuliamo il karma che ci proietta nel ciclo del samsara.

Come un medico attraverso l’osservazione dei sintomi (Prima Verità) cerca l’origine della malattia (Seconda Verità) per trovare la cura, così il Buddha espone la Terza Nobile Verità, la Cessazione della Sofferenza: “La cessazione del dolore è l’estinzione, il completo svanimento l’abbandono, il rifiuto di questa brama, la liberazione e il distacco da essa”. E’ il nirvana, l’estinzione della fiamma. Non un “paradiso” cui accedere, bensì una realtà etica e psicologica, una condizione radicalmente trasformata di pacificazione, di gioia, di consapevolezza, di compassione (“Io sono nato per il bene delle creature”). Non una entità distinta ed autonoma, bensì nirvana e samsara come due facce di una unica medaglia. Non si “lascia” il samsara per “entrare” nel nirvana. Scrisse il grande Maestro indiano Nagarjuna: “Non vi è la minima differenza tra samsara e nirvana”. E pochi decenni dopo, dai deserti dell’Egitto, gli faceva eco il monaco cristiano Antonio Abate: “La morte, per chi sa comprenderla, è immortalità”.

Infine, nella Quarta Nobile Verità, la Verità del Sentiero, il Buddha espone la cura per sradicare la sofferenza. “Questa, o monaci, è la Nobile Verità che conduce alla cessazione del dolore: esso è il Nobile Ottuplice Sentiero, ovvero retta visione, retto pensare, retta parola, retta azione, retto mezzo di sussistenza, retto sforzo, retta attenzione e retta concentrazione”.

Gli otto fattori del Nobile Ottuplice Sentiero sono chiamati “retti” in quanto propongono una via mediana (la “Via del Mezzo”) tra soddisfazioni materiali e totale austerità. Possono essere letti attraverso il loro raggruppamento nei cosiddetti “Tre Addestramenti”, ovvero:

sila, la disciplina morale:
retta parola: non mentire, non parlare duramente o futilmente, non calunniare..
retta azione: non uccidere, non rubare, avere una corretta sessualità, non intossicarsi…
retti mezzi di sussistenza: non trarre guadagno da attività nocive..

samadhi, il raccoglimento meditativo:
retto sforzo: sbarazzarsi di abitudini negative, generare stati mentali benefici
retta attenzione: al corpo, alle sensazioni, ai pensieri, ai concetti…
retta concentrazione: ad es. usando il respiro come supporto per la concentrazione

prajna, la conoscenza superiore, la saggezza:
retto pensiero: rinunzia, assenza di egoismo, non-violenza (ahimsa), amore per tutti gli esseri…
retta comprensione: conoscenza delle Quattro Nobili Verità e comprensione delle cose così come esse realmente sono.

Ciò che importa osservare è che gli otto fattori del Sentiero sono strettamente e mobilmente correlati tra loro. Colui che pratica la Via è chiamato ad applicarli tutti insieme, e per sempre. Non sono stadi o tappe intermedie da raggiungere e superare. E’ una disciplina del corpo, della parola e della mente che può essere praticata da chiunque. Corrisponde anche ai Tre Precetti Puri della scuola Soto Zen: - astenersi dalle azioni malevole, - praticare la virtù, - domare la mente (il che “riassume” gli insegnamenti del Buddha).

m. Mauro Ton Ko, novembre 2005

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