venerdì 19 ottobre 2012

Perchè Bodhidharma è partito per Hollywood? - 2 - Passaggio in India

Londra/Bombay e ritorno: come perdere la testa (e l’Impero): “Passaggio in India” da E.M. Forster a David Lean

Se James Hilton, l’autore di “Orizzonte Perduto”, aveva collaborato alla sceneggiatura dell’omonimo film di Frank Capra, Edward Morgan Forster (1879-1970), autore di “Passaggio in India” (pubblicato nel 1924), aveva al contrario proibito che il suo capolavoro venisse portato sullo schermo. E questo fu possibile infatti solo dopo la sua morte (avvenuta nel 1970), ad opera di un maestro del cinema inglese, David Lean, nel 1984, 60 anni dopo la pubblicazione del romanzo. Una coincidenza unisce i due autori: per Forster “Passaggio in India” fu l’ultimo romanzo che scrisse, e per Lean fu l’ultimo film che girò.
David Lean (1908-1991) è noto al grande pubblico come autore di film “kolossal”, ai quali in realtà si dedicò solo dalla fine degli anni ’50: “Il ponte sul fiume Kwai” (1957), “Lawrence d’Arabia” (1962), “Il dottor Zivago” (1966). Anche nel suo ultimo film l’elemento spettacolare non fa difetto, aiutato in questo dai vasti paesaggi indiani, ottimamente fotografati da Ernest Day.
Ma pur riuscendo “a far contento chi predilige il grande spettacolo in cui dramma e mistero, sesso e avventura sono confezionati a regola d’arte” (1), Lean non ha tradito lo spirito del romanzo di Forster, evidenziandone i temi portanti attraverso le immagini, le inquadrature, i dialoghi, la stessa scelta degli attori.

Il dr. Aziz, il prof. Godhbole e Adela Quested 

Su un punto Lean si è discostato nettamente da Forster: alla fine del romanzo “qualcosa” (i cavalli, la terra, il lago, i templi, gli uccelli..) impedisce che Aziz e Fielding (India e Inghilterra, Oriente e Occidente) si abbraccino: “Non volevano, dissero con le loro cento voci: ‘No, non ancora’, e il cielo disse: ‘No, non qui’” (2). Nel film l’abbraccio avviene (ah, l’happy end!). Forse perché dal libro al film sono passati 60 anni? O perché l’India si era ormai liberata dall’Inghilterra, e l’Inghilterra dall’India? O forse perché Lean, fedele suddito di Sua Maestà, non voleva calcare troppo la mano su una eredità politica ingombrante, quella dell’imperialismo?
Quest’ultima interpretazione è invero avvalorata dalle sequenze del processo contro Aziz, il cui giudice è un indiano rispettato da tutte le parti in causa. Lean sembra voler dire che il colonialismo inglese ha comunque portato qualcosa di positivo nell’arretrata India, il diritto (dimenticando che l’India possedeva raccolte di leggi – il Dharmaśāstra – basate sui millenari insegnamenti dei Veda e quindi ben più antiche dei codici inglesi).
Il tema centrale dell’opera di Forster, magistralmente trasposto in immagini da Lean, è quello dello scontro, “del conflitto tra autenticità e convenzione, natura e civiltà, vita e cultura” (3). Ed esso è presente in tutti i suoi romanzi, da “Casa Howard” a “Camera con vista” a “Maurice” (tutti portati sullo schermo da James Ivory). In “Passaggio in India” il conflitto si svolge tra la cultura (in senso vasto) degli Inglesi, che occupano il sub-continente ormai da moltissimi decenni, e quella degli Indiani, trattati come servi e vilipesi nei loro diritti più elementari e nelle loro tradizioni. E vi è conflitto profondo anche tra la cultura hindu e quella musulmana, anche se questo aspetto è molto più evidente nel romanzo che nel film.
Era una situazione che Forster aveva avuto modo di conoscere in prima persona, in quanto aveva trascorso nello stato indiano di Dewas (nel Madhya Pradesh) due periodi della sua vita, nel 1912-13 e nel 1921 (nel ’21 come segretario privato del Rajah). Forster descrive lucidamente lo scontro tra le due culture, rivolgendo uno sguardo severo verso i suoi compatrioti. Il conflitto si esprime in ogni occasione, sia durante i momenti più critici della vicenda (dall’arresto di Aziz in poi), sia in quelli apparentemente più “sereni”: la vita di società, gli incontri al Circolo…(4)
E’ inevitabile pensare qui ad un altro grande scrittore inglese, nato però in India, Rudyard Kipling (5), un cui famoso verso è citato nel film: “L’Est è l’Est, l’Ovest è l’Ovest, e non si incontreranno mai”.
Ma il conflitto tra i due popoli non poteva avere, storicamente, che un esito: la fine dell’impero inglese e l’indipendenza dell’India (al prezzo della sanguinosa spartizione tra India e Pakistan). E questo, negli anni in cui il libro fu scritto, era già chiaro a molti. Era solo questione di tempo (6).
Richard Fielding

Anche i rapporti tra i singoli individui che interagiscono nel romanzo e nel film vengono messi in crisi dal conflitto che li attraversa. Il legame che unisce Aziz e Fielding ne è vittima, e, nell’opera letteraria in particolare, proprio dopo il processo non si ricompone più totalmente – o forse, diventa definitivamente palese l’impossibilità stessa del rapporto…
Ugualmente profonda è la spaccatura che interviene tra Fielding e la comunità inglese, splendidamente portata sullo schermo nelle sequenze all’interno del Circolo, dopo l’arresto di Aziz (anche se da subito il rapporto tra Fielding e i suoi compatrioti è un perfetto esempio del conflitto tra autenticità e convenzioni che spesso Forster descrive nelle sue opere).
Per non parlare della (ovvia) rottura dei rapporti tra Adela e il promesso sposo Ronny Heaslop (e, si può dire, con l’intero mondo anglo-indiano), dopo l’assoluzione di Aziz.
Il tema del conflitto è poi presente nelle singole persone, le attraversa secondo diverse modalità. La giovane Adela Quested (7) viene letteralmente travolta dal clima sensuale, magico, dell’India, che fa emergere con violenza aspetti profondi della sua personalità.

Una delle grotte del Marabar

Esemplare è la scena – presente solo nel film – della visita al tempio in rovina, con le sculture erotiche da cui escono le scimmie, simbolo fin troppo evidente dell’irruzione di un Eros “selvaggio”, non contenibile, in una personalità abbastanza aperta, ma pur sempre proveniente da una società repressa e formalista.
Nessuno di coloro che entra nelle grotte del Marabar ne esce rimanendo eguale a se stesso. Mrs. Moore, l’anziana e saggia signora che, alla partenza, Godhbole saluta con il gesto che si riserva alle “Grandi Anime” (Mahatma), non riuscirà a tornare in Inghilterra, ma morirà sulla nave durante il viaggio di ritorno.
Aziz, poi, passa dalla ricerca di un rapporto non-conflittuale con il mondo inglese, che ammira e vorrebbe imitare, ad una progressiva presa di coscienza, attraverso la rottura dei legami con Adela e Fielding, che lo rende consapevole della “differenza” che separa Inglesi e Indiani, e della conseguente impossibilità di una ricomposizione (individuale e collettiva) del conflitto. Solo tra Aziz e Mrs. Moore non c’è rottura, ma forse perché la donna è ormai assente dalla scena, e Aziz può soltanto rapportarsi con una immagine, un ricordo. Con un nome, trasfigurato infine in uno slogan (8) e urlato come se fosse l’appellativo di una divinità hindu: “Esmiss Esmoor, Esmiss Esmoor...”, da uomini che non sanno nulla di lei.

Il black hole di Marabar


Lo spettatore, alla fine del film, esce dalla sala, ritorna alla luce. Il lettore chiude il libro, esce dalle sue pagine. Ma è davvero possibile uscire dalle grotte di Marabar? (9).
Un “buco nero” (black hole), spiega lo scienziato Stephen Hawking, è una regione dello spazio con un campo gravitazionale talmente intenso da attrarre al proprio interno persino la luce: “si ha dunque un insieme di eventi, una regione dello spazio-tempo, da cui non è possibile sfuggire per raggiungere un osservatore lontano” (10).

Adela Quested e Mrs. Moore
E le grotte di Marabar paiono essere un black hole del senso: che cosa è accaduto nel loro interno ad Adela, ad Aziz, a Mrs. Moore? Il romanzo non lo dice, il film non lo rivela. Nulla esce dalle viscere del Marabar: la luce ne è inghiottita, i suoni rimbalzano sulle pareti e nella mente dei visitatori (11). E la loro eco seguirà Adela per molto tempo, fino alla fine del processo.
Chi fuoriesce dalle grotte non è più la stessa persona che vi è penetrata. Aziz ha aggredito Adela? E’ stato un altro uomo a farlo? Adela ha sognato l’aggressione, o ha condiviso con Aziz una sorta di allucinazione? Non ci viene detto, eppure è un evento che segna indelebilmente le loro esistenze e la vita di tutta la comunità di Chandrapore (12).
Una risposta la diede Forster: “Se lo dico [cosa avvenne nella grotta] diventa, qualsiasi sia la risposta, un libro differente”.
La risposta non è quindi possibile, o quantomeno appartiene ad un’altra dimensione, che non è quella del libro. Qualsiasi cosa sia avvenuta, non potrebbe più avvenire di fronte ad un lettore o ad uno spettatore, sarebbe un’altra cosa.
Nella meccanica quantistica (13) si parla del principio di indeterminazione di Heisemberg: “non è possibile conoscere simultaneamente posizione e quantità di moto di un dato oggetto con precisione arbitraria”. Quanto più è precisa la misura, tanto più essa è invasiva e disturba il fenomeno da osservare. Quanto più riuscissimo ad avvicinarci e addentrarci nelle grotte, quanto meno ciò che vi è accaduto potrebbe accadere. E di conseguenza perderemmo per sempre il romanzo e il film…

Come uscire dalla grotta. Istruzioni pratiche


Uno dei più famosi koan (14) della scuola Zen Rinzai propone un quesito, apparentemente insolubile, che pare richiamare la domanda posta dal romanzo e dal film, relativa a cosa può essere accaduto nelle grotte.
Nel koan, viene chiesto come far uscire un’oca, rinchiusa in una bottiglia, senza farle del male e senza rompere la bottiglia.
Per chi ama le scorciatoie e ritiene non consono per un Occidentale sedere a lungo su un cuscino a gambe incrociate, la risposta può essere rinvenuta in un racconto, anch’esso della tradizione Zen.
Un giorno il Maestro Dogo e il suo discepolo Zengen si recarono presso una famiglia che piangeva un congiunto appena defunto. Il discepolo si avvicinò alla bara e chiese al Maestro: “Quest’uomo è vivo o morto?” Dogo rispose: “Non dico che è vivo, non dico che è morto”. Il discepolo insistette: “Perché non volete dire l’una o l’altra cosa?”. E il Maestro, ancora: “Non dico che è vivo, non dico che è morto”. Al ritorno al tempio, Zengen, turbato, ripropose la richiesta: “Se non me lo dite, non rispondo di me stesso!”. “Fai ciò che vuoi – replicò Dogo – ma non lo dirò”. Il discepolo, allora, lo colpì.
Anni dopo, Dogo morì, e Zengen si recò in visita da Sekiso, un altro famoso Maestro, a cui raccontò quanto era accaduto, per poi chiedergli: “Quell’uomo era vivo o morto?”. Sekiso rispose: “Non dico che è vivo, non dico che è morto”. E Zengen: “Perché non volete dirlo?”. “Non dico che è vivo, non dico che è morto”. A quel punto Zengen conseguì il Risveglio. Poco dopo, Sekiso lo vide camminare su è giù nella sala del monastero, con una vanga sulle spalle. Gli chiese cosa stesse facendo, e Zengen gli rispose: “Sto cercando le reliquie del mio vecchio Maestro”. Sekiso disse allora: “C’è un grande fiume con immense onde che riempiono l’intero universo. Le reliquie del tuo Maestro non saranno trovate in nessun posto” (15).
Chiedersi cosa sia accaduto nelle grotte di Marabar tra Aziz e Adela, è davvero questa la domanda giusta per capire “Passaggio in India?”.

Note
1) G. Grazzini, in Corriere della Sera, 29 settembre 1985.
2) E.M. Forster, Passaggio in India, Ed. Oscar Mondadori, pag. 341.
3) Dall’Introduzione a E.M. Forster, Passaggio.., pag. VII.
4) “Forse un invito [al bridge party] può venire solo dal cielo; forse è inutile che gli uomini si diano da fare per unirsi: quel tentativo non può che allargare l’abisso tra di loro”. In: Passaggio.., pag. 37.
5) 1865-1936, autore di “Kim”, “I libri della jungla”, “L’uomo che volle essere re”, nonché di numerosi racconti e poemi.
6) Anche se si può certamente dire, col senno di poi, che in India (o in Cina, o in qualsiasi ex colonia) veramente vincente fu il modello culturale, sociale, economico allora rappresentato dall’Inghilterra o, in genere, dalle grandi potenze del capitalismo. La perdente fu l’India dei villaggi, l’India di Gandhi.
7) Il cognome di Adela, Quested, richiama alla mente il termine inglese “quest”, ricerca, che è usato sia in contesti letterari (es. la Ricerca del Santo Graal), sia in ambito cinematografico, nel senso della scelta del film da vedere, e di tutto ciò che ne segue: la preparazione (la “vestizione” del Cavaliere), l’uscita da casa (dal castello), il viaggio, l’entrata nel buio… Un caso? Nulla, nel cinema (e nelle culture tradizionali), avviene mai per caso…
8) Infatti la parola “slogan”, di origine nord-europea, significava proprio “grido di battaglia”.
9) Le grotte di Marabar (il cui vero nome è Barabar) esistono realmente, nei pressi della città di Gaya, nel cuore della regione in cui il Buddha nacque, conseguì il Risveglio e insegnò la Via. Esse risalgono a 2300 anni fa, quando vennero scavate e levigate, e utilizzate come luoghi di ritiro dagli eremiti della tradizione Jaina.
10) S. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, Ed. BUR, pag 120 e segg.
11) “…una grotta di Marabar non ode altro suono che il proprio”, in “Passaggio..” pag.163.
12) Chandra, in sanscrito, è la luna, la cui immagine compare sovente nel romanzo e nel film, soprattutto collegata alla figura di Mrs. Moore. Nell’iconografia buddhista la luna rappresenta il Risveglio, l’Illuminazione.
13) “La meccanica quantistica è una teoria che si e' sviluppata nella prima metà del XX secolo, per supplire all'inadeguatezza della meccanica classica nello spiegare determinati fenomeni fisici. Essa si distingue dalla meccanica classica in quanto si limita ad esprimere la probabilità di ottenere un dato risultato da una certa misurazione. Questa condizione di indeterminismo non è dovuta a una conoscenza incompleta dello stato in cui si trova il sistema fisico osservato, ma è da considerarsi una caratteristica intrinseca del sistema".
Da: http://it.wikipedia.org, alla voce Meccanica quantistica.
14) Frasi, storie, dialoghi, citazioni dai sutra, che vengono proposte in forma di problema ai discepoli dello Zen, soprattutto della scuola Rinzai, con la richiesta di trovarne la soluzione basandosi esclusivamente sulle proprie esperienze meditative.
15) Tratto da Ph. Kapleau, La nascita dello Zen in Occidente, Ed. Ubaldini, pagg. 79-80.



m. mauro tonko, dicembre 2008

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