mercoledì 24 ottobre 2012

UNISABAZIA 2010/11 - La CIA in Tibet


L’Esercito del Popolo cinese “libera” il Tibet - Il ruolo della C.I.A.


"Grazie agli sforzi di tutte le nazionalità, nel corso degli ultimi anni nella stragrande maggioranza delle regioni della Cina abitate da minoranze nazionali, le riforme democratiche e le trasformazioni socialiste sono state sostanzialmente portate a termine.
Nel Tibet le riforme democratiche non sono ancora state attuate poiché la situazione non è ancora matura.
In base all’accordo in diciassette punti stipulato tra il governo popolare centrale e il governo locale del Tibet la riforma del sistema sociale sarà fatta, ma il calendario di essa può essere fissato solo quando la maggioranza del popolo tibetano e le personalità principali della regione la riterranno possibile: non dobbiamo essere impazienti.”

Mao Zedong, “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 1957

In un documento greco del I sec. E.V., il “Periplo del Mar Rosso” (in latino “Periplus maris erythraei”) si parla di un popolo dell’Asia Centrale, i Bautai, e del fiume Bautisos. E Bhauta (o Bhota) è il nome con cui gli Indiani chiamavano il paese detto dai suoi abitanti Böd (pron. Pö), e a noi noto come Tibet.
Il territorio del Tibet
Secondo quanto riportato nel classico testo di Rolf Stein su “La civiltà tibetana” (1962), si trattava di un territorio di circa 3.800mila km/q (pari a quasi 13 volte l’Italia), con 3 milioni e 500mila/4 milioni di abitanti, per una densità di circa 1 abitante per km/q (Italia: 200 circa). Queste cifre possono notevolmente variare, a seconda delle regioni che vengono ricomprese sotto la denominazione di Tibet.
Racconta un antico mito che la prima coppia che abitò il Tibet era formata da uno scimmione (secondo la versione buddhista del mito era la manifestazione del bodhisattva della compassione Avalokiteshvara, Cenresig in tibetano) e da una orchessa delle montagne. Dalla loro unione nacquero esseri per metà umani e per metà scimmie, eretti ma ricoperti di peli, con la faccia rossa e piatta.
Molto tempo dopo, da una corda che pendeva dal cielo scese il primo re tibetano, che coltivò il primo campo, diede leggi per tutti, ebbe figli, poi risalì in cielo lungo la stessa corda.
Più prosaicamente, la storia situa le origini della nazione tibetana nel VII sec. E.V.: un principe, Namri Löntsän, a seguito di una cospirazione si era ritrovato a capo di quello che diverrà il regno tibetano. Subito, nel 608 e 609 E.V., inviò due delegazioni presso la corte imperiale cinese, facendo entrare il Tibet nello scenario internazionale. Dalle origini, quindi, la storia del Tibet e quella della Cina rimasero costantemente intrecciate, alternando periodi di equilibrio ad altri che videro il predominio cinese oppure l’espansione dei regni tibetani.
Nel IX sec. il Tibet raggiunse il suo apice, sia dal punto di vista culturale sia da quello territoriale-militare, giungendo ad occupare buona parte dell’Asia Centrale, compreso il Nepal e territori dell’India e della Cina. Ma un successivo periodo di crisi, che durò fino al XIII sec., privò il Tibet di un vero governo centrale. Parallelamente, progredì invece lo sviluppo del buddhismo, che era penetrato in Tibet nell’VIII sec. nella sua forma Mahayana, divenendo tra l’altro un fondamentale strumento di unificazione culturale e linguistica. Si formarono quindi grandi monasteri, tra i primi quello di Sakya, nel 1073.
La debolezza politica e militare del Tibet favorì però il suo assoggettamento ai Mongoli, che erano in piena espansione. Ne scaturì una lunga alleanza tra impero mongolo e buddhismo tibetano, che proseguirà, con fasi alterne, per circa tre secoli. Addirittura, nel XVIII sec. quasi la totalità delle popolazioni mongole aveva abbracciato il buddhismo, e nei monasteri in Mongolia vivevano migliaia di monaci.
Fu un re mongolo, Altan Khan, discendente di Gengis Khan, ad attribuire al Lama Sonam Gyatso il titolo di Dalai Lama (Lama = guru, maestro spirituale – Dalai = Gyatso = Oceano). Era il 1578. Venne così consacrato il primato della scuola buddhista Gelugpa (i c.d. Berretti Gialli), alla quale Sonam apparteneva, come pure i successivi Dalai Lama, fino all’attuale XIV, Tenzin Gyatso. Il titolo venne esteso alle due precedenti rinascite di Sonam, che è quindi ricordato come il III Dalai Lama.
Il “Grande Quinto” Dalai Lama, Ngawang Lozang Gyatso, fece trasferire il governo a Lhasa e fece iniziare la costruzione del palazzo del Potala. Ma fu soprattutto colui nelle cui mani, grazie a Gushi Khan, il potere religioso e quello politico si unificarono (1642). Dopo di allora, e fino all’invasione cinese, i Dalai Lama divennero i supremi sovrani del Tibet, che assunse la forma di una vera e propria ierocrazia (non si può parlare di teocrazia in quanto il buddhismo non considera la figura di un dio personale, creatore).
Con il VII Dalai Lama (XVIII sec.), al termine di una serie di conflitti tra tibetani, mongoli e cinesi, il Tibet perse la propria autonomia a favore della Cina, che si annesse le regioni dell’Amdo e del Kham. Fu ancora la Cina, alla fine del 1700, a respingere gli attacchi del Nepal nei confronti del Tibet. La crisi interna cinese del XIX sec. allentò il controllo imperiale sul Tibet, che divenne oggetto degli interessi dei britannici, impegnati nel “Grande Gioco” (con la Russia zarista) per il controllo dell’Asia Centrale. Nel 1904 un contingente di soldati anglo-indiani entrò con la forza a Lhasa, provocando la reazione della Cina, che per la prima volta rivendicò apertamente la propria sovranità sul Tibet. Nel 1910 truppe cinesi raggiunsero a loro volta Lhasa, e il XIII Dalai Lama, Thubten Gyatso (1876-1933) fu costretto a fuggire in India. L’anno dopo la dinastia Qing cadde, a febbraio 1912 l’ultimo imperatore, Pu Yi, abdicò all’età di sei anni, e fu proclamata la Repubblica. Il Tibet ne approfittò per dichiarare la propria indipendenza, come pure fece la Mongolia. Le truppe cinesi vennero espulse e il Dalai Lama rientrò a Lhasa. Negli anni Venti e Trenta la Cina fu interamente assorbita dai conflitti interni e dalla guerra con il Giappone, ma non rinunciò mai alle proprie pretese sul Tibet, il quale continuò a ribadire la propria autonomia, pur continuando, con una politica abbastanza ambigua, a cercare l’appoggio cinese.
Intanto, nel dicembre 1933 il XIII Dalai Lama era morto. Il vuoto politico era stato riempito da gruppi di potere violenti e intriganti, ostili tra loro, che fecero ripiombare il Tibet nei peggiori periodi della sua storia. Dal 1934 era Reggente il giovane Lama di Reting, il quale aveva iniziato una politica di timide riforme nel senso della modernizzazione del paese, nonché di aperture verso la Cina. Nel 1940 fu ufficialmente riconosciuto quale XIV emanazione del bodhisattva Cenresig il piccolo Lhamo Dhondrup (nato il 6 luglio 1935), e divenne quindi reggente un suo tutore, l’anziano Lama Taktra Rinpoche, ostile alle aperture del predecessore. Ma Reting e i suoi non erano disposti a farsi da parte: nel 1947 cercarono di uccidere il Reggente con un attentato terroristico. A seguito dell’arresto e della morte in carcere di Reting si giunse anche a scontri armati tra i monaci dei vari monasteri, con almeno 200 morti. Ma negli anni successivi fu la Cina a sciogliere definitivamente i nodi della politica interna tibetana.
Nell’ottobre 1949 il P.C.C. di Mao Zedong prese il potere e proclamò la nascita della Repubblica Popolare, ma già a settembre il comandante dell’Esercito di Liberazione Popolare, Zhu De, aveva detto che era necessaria “una campagna militare rivoluzionaria totale, fino alla liberazione di tutti i territori della Cina compresi Formosa, le isole Pescadores [nello stretto di Formosa], l’isola di Hainan [a sud della Cina] e il Tibet”.
La “liberazione” del Tibet cominciò il 6 ottobre 1950, con l’ingresso nel territorio di Chamdo di 40mila soldati cinesi, che spazzarono via le difese tibetane.
Il 17 novembre, all’età di 16 anni, il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, si insediò assumendo i pieni poteri. Venne quindi firmato un Accordo in Diciassette Punti, con il quale venne riaffermata la sovranità cinese sul Tibet, pur garantendo ad esso una autonomia culturale, religiosa ed amministrativa – ma si trattò di una mera affermazione di principio.
Il territorio del Tibet nella Repubblica Popolare Cinese
 Infatti l’occupazione cinese provocò negli anni successivi proteste e disordini, fino al 1959, quando una vera e propria rivolta partì da Lhasa e si diffuse su tutto il territorio. Il Dalai Lama fuggì in India, per evitare un sicuro arresto, mentre i ribelli occuparono il Tibet meridionale. Ma la reazione cinese fu immediata e violenta, anche se negli anni successivi i ribelli continuarono la resistenza armata, sotto forma di guerriglia. Sarà solo nel 1969 che la Cina riuscirà a tornare ad un controllo totale del territorio, e cioè quando gli USA tolsero alla resistenza tibetana il loro appoggio, avendo iniziato a mutare la loro politica nei confronti della Repubblica Popolare Cinese.
Attualmente, il Tibet fa parte della Repubblica Popolare Cinese. E’ abitato da 6 milioni di tibetani e da oltre 7 milioni di cinesi (di cui 300mila militari). Circa 130mila sono i tibetani profughi in India e in altri paesi, tra cui lo stesso XIV Dalai Lama e i rappresentanti del governo in esilio. Si ritiene che dal 1950 siano morte, a causa dell’invasione cinese, oltre 1 milione di persone.
Nell’VIII sec. E.V. il saggio indiano Padmasambhava, che si era recato in Tibet dall’India per diffondere gli insegnamenti del Buddha, aveva predetto: “Quando volerà l’aquila di ferro e i cavalli correranno su ruote, il popolo tibetano sarà disperso per tutto il mondo e il Dharma approderà alla terra dell’uomo rosso [l’Occidente]”.

Il ruolo della C.I.A.

Si è accennato sopra al sostegno dato dagli Stati Uniti alla rivolta tibetana contro la Cina. Erano infatti gli anni in cui il governo del Presidente Eisenhower era impegnato a contenere l’espansione del comunismo nel mondo.
Nei confronti della Cina di Mao, questo significava soprattutto sostenere il governo di Chiang Kaishek a Taiwan, mentre la Repubblica Popolare veniva definita, con scarsa lungimiranza, “una fase passeggera”. L’appoggio al Tibet era per gli USA solo un piccolo tassello nell’insieme della loro politica anti-comunista, un elemento propagandistico, un modo come un altro per dar noia alla Cina nel ben più complesso gioco della Guerra Fredda.
Venne comunque coinvolta la C.I.A., ovvero l’Agenzia americana per lo spionaggio all’estero (Central Intelligence Agency), che era stata costituita nel 1947 dal Presidente Harry Truman e che nei primi anni della sua esistenza aveva potuto operare anche al di fuori del controllo del governo, in particolare con il direttore Allen Dulles.
L’operazione iniziò nel 1957, quando nella regione del Kham (Tibet Orientale) era scoppiata una rivolta, divenuta vera e propria resistenza organizzata ad opera della fiera popolazione Khampa. E proprio da quel popolo vennero reclutati dalla CIA i primi sei uomini, che furono trasferiti attraverso il Pakistan Orientale (oggi Bangladesh) in una base militare nel Pacifico e lì addestrati alla cartografia, all’uso delle radio e delle armi più moderne. Nel dicembre 1957 vennero poi paracadutati in Tibet, per organizzare la resistenza armata. Ma ogni loro tentativo di contattare il Dalai Lama fallì. Iniziarono anche i lanci di armi e materiale, effettuati con finti aerei antincendio con piloti mercenari polacchi. Tra il 1957 e il 1961, nel corso di 25 missioni, furono paracadutate 400 tonnellate di armi, munizioni, radio, medicinali e materiale propagandistico. Grazie a questi aiuti, i guerriglieri Khampa inflissero ai Cinesi gravi perdite. Fu anche assalito un grande monastero adibito a santabarbara da cui, con l’aiuto dei monaci, vennero portate via le armi prelevate all’esercito tibetano al momento della sua resa.

Un militare americano con due allievi tibetani
Altri 170 Khampa furono addestrati in una base militare nel Colorado, un territorio più simile a quello del Tibet. L’ultimo lancio di uomini fu effettuato nel 1960: dopo l’abbattimento dell’aereo spia U-2 in Unione Sovietica essi vennero sospesi.
Le operazioni militari a terra continuarono, a partire dalla regione del Mustang (tra Nepal e Tibet), con una operazione chiamata il Circo. I Khampa addestrati negli USA operavano in Tibet mantenendo contatti radio con la CIA, fornendo informazioni sugli spostamenti di truppe e compiendo azioni di sabotaggio o veri e propri attacchi armati ai convogli cinesi. Ma a causa di rivalità tra i vari gruppi della resistenza, di episodi di corruzione e contrabbando di opere d’arte e oggetti religiosi, l’operazione si avviò alla fine. Negli ultimi anni della presidenza Johnson, la CIA sospese gli aiuti, annullò i programmi e si ritirò dal Mustang, abbandonando a se stessi i guerriglieri. Alcuni si ritirarono, altri vennero arrestati, altri ancora continuarono a combattere. Fu il Dalai Lama in persona, con un nastro registrato, a chiedere loro di rinunciare alla lotta armata.

Uomini dell'Operazione Circo
 L’anno più alto nella storia della resistenza tibetana fu probabilmente il 1959, con l’insurrezione di Lhasa. Fu però anche l’anno della fuga del Dalai Lama, essa stessa voluta dagli USA e costantemente monitorata dalla CIA per mezzo di contatti radio con un aereo in volo sul Tibet. E’ anche probabile che nel gruppo degli esuli vi fossero almeno due tibetani addestrati nel Colorado.Da quel momento scattò l’offensiva diplomatica americana a favore del Tibet, in funzione anti-cinese e anti-comunista. Gli USA accusarono la Cina di genocidio e dichiararono il Tibet indipendente, riuscendo così a far approdare più volte la “questione tibetana” all’assemblea dell’ONU.
Ma anche le azioni diplomatiche volsero alla fine: nel 1971 il Segretario di Stato Henry Kissinger compì un viaggio segreto in Cina, per avviare una nuova fase nelle relazioni USA-Cina. Fu l’anno della “diplomazia del ping pong”, cui seguì l’incontro di Nixon con Mao Zedong nel 1972 (e nel gennaio 1973 la fine della guerra nel Vietnam).
In quella nuova visione non c’era posto per la guerriglia tibetana.
Nel 1974 i Khampa combatterono la loro ultima battaglia sui monti del Mustang. Nel frattempo, negli Stati Uniti, Kissinger ordinava di tagliare il sussidio di 180mila dollari annui al Dalai Lama.


m. mauro tonko, febbraio 2011

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