mercoledì 3 luglio 2013

Il Buddha ai tempi del Duce


Nel 1923, pochi mesi dopo la Marcia su Roma e la nomina di Mussolini a capo del Governo, l’editore romano A.F. Formìggini pubblicò un volumetto, “Apologia del Buddhismo”, nella collana “Apologie”, nella quale comparvero anche testi quali una “Apologia del Cattolicismo” di Ernesto Buonaiuti e una “Apologia del Taoismo” di Giuseppe Tucci.
Autore del libretto, che costava Lire 4,50, era Carlo Formichi.



Carlo Formichi (Napoli 1871, Roma 1943) è stato uno dei più grandi orientalisti italiani. Dopo avere studiato sotto la guida di Michele Kerbaker (altro insigne studioso della cultura orientale, soprattutto indiana), insegnò la lingua sanscrita a Bologna, a Pisa, a Roma, in India e negli USA. Fu vice presidente dell’Accademia d’Italia, che per volere di Mussolini aveva accorpato a sé la prestigiosa Accademia dei Lincei. Ne furono presidenti, tra gli altri, Marconi, D’Annunzio, Federzoni, Gentile. Benedetto Croce rifiutò di farne parte. Fu soppressa nel 1944, quando venne ricostituita l’Accademia dei Lincei.

Tra i suoi scritti vanno ricordati: “Asvaghosa poeta del buddhismo”, “La dottrina di Gotama Buddha e i suoi valori umani”, “Lo spirito scientifico del buddhismo”, “Il nirvana non è il nulla”, “Sette saggi indiani”, “India e Indiani”, “Salus populi”, “Gli Indiani e la loro scienza politica”, “Pensiero e azione nell’India antica”, “Nippon” sulla storia del Giappone.

Carlo Formichi al casino' di Sanremo
Formichi si dedicò soprattutto allo studio delle correnti della spiritualità indiana che avevano portato alla nascita del buddhismo. Non si adagiò sui facili luoghi comuni dell’esotismo orientaleggiante, ma la sua ricerca trovò un grave limite metodologico nel tentativo (quali che ne siano state le motivazioni) di conciliare quanto più possibile alcuni aspetti della cultura indiana, dalle Upanishad al Buddha, con l’immaginario politico dell’Italia fascista. Ad esempio, interpretando il passaggio dal karma-sacrificio (Veda) al karma-azione (l’insegnamento del Buddha) come nascita del concetto laico di karma funzionale alla casta guerriera degli ksatriya, cui apparteneva il clan Shakya nel quale nacque Siddhartha, il futuro Buddha.


Un esempio della preoccupazione del Formichi di armonizzare il buddhismo con l’ideologia dello Stato fascista lo si trova anche nel volumetto del 1923. Già nelle prime pagine, presentando il suo percorso metodologico, egli individua quattro punti di vista da cui “saggiare il buddhismo”: l’etica, il “conforto religioso che offre”, il rapporto con la scienza e, last but not least, “se e quanto è compatibile con le esigenze della società e dello Stato”.

La risposta arriva al cap. V, in cui l’A. afferma che la Via del Buddha può essere pienamente percorsa solo dai monaci, ossia da una ristretta minoranza di uomini (“di eletti”, dice). A tutti gli altri, incapaci di fare “la grande rinunzia” ma solo di “mettersi almeno in cammino verso la meta radiosa”, il Buddha non insegna nulla che “non sia compatibile con le esigenze della società e dello Stato”: frenare l’egoismo, rispettare la vita, essere retti in pensiero, parola e azione, praticare il proprio dovere. Il Buddha non voleva quindi “distruggere le basi della convivenza sociale”, accusa che gli venne rivolta e che respinse. Non a caso, dice Formichi, volle che nessun giovane venisse ammesso al monachesimo senza il permesso dei genitori.

Sta di fatto che il Buddhismo trapiantato nel Giappone [che nel 1940 diverrà alleato dell’Italia e della Germania] e adattato alla mentalità e alla psicologia del popolo nipponico fiorisce e fa fiorire, nel campo politico e sociale, quella nazione”.

Esempio del fatto che nessuna contraddizione esiste tra il buddhismo e “le necessità sociali” fu l’impero di Ashoka: “Tutti sanno che Açoka fu un entusiasta seguace della dottrina del Buddha, eppure molti continuano a ripetere l’erronea sentenza che Buddhismo e prosperità d’uno Stato sono due termini che si escludono”, “si cancelli dunque dalla storia il Regno di Açoka prima d’affermare ancora che il Buddhismo non sia compatibile con le esigenze pratiche della società e dello Stato”.

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