mercoledì 27 novembre 2013

I 12 anelli: 5 - Le sei basi sensoriali; 6 - Il contatto

V – Salayatana, le sei basi sensoriali

Il quinto anello delle catena del sorgere dipendente, visivamente reso nel bhavachakra da una casa con sei aperture, è costituito dalle sei basi sensoriali (salayatana: sal = sei; ayatana = base). Si tratta dei cinque organi di senso fisici (occhio, orecchio, naso, lingua, tatto) e della sesta base, la base mentale, che a sua volta racchiude in sé i cinque tipi di conoscenza sensibile (visiva, uditiva ecc.), l’elemento mentale e l’elemento della coscienza mentale.
A partire da questo anello viene pertanto preso in esame nel dettaglio il processo della percezione-creazione del mondo esterno, processo che, condizionato dall’ignoranza e dai successivi elementi del sorgere dipendente, ci porta costantemente a percorrere e ripercorrere la via della non-comprensione della realtà così come essa è.
Le sei basi sono condizionate dal (ovvero posso esistere soltanto sulla base del) complesso psicofisico (namarupa, corpo-e-mente, il quarto anello) secondo questo schema:
- nama (il nome, ovvero i quattro aggregati mentali: sensazione, percezione, tendenze mentali, coscienza) è condizione dei gruppi mentali delle sei basi;
- rupa (la forma, il corpo) è condizione delle sedi fisiche della coscienza: occhio, orecchio, naso, lingua, tatto.
Alla nascita dell’individuo, le sei basi sono già presenti, e si affinano poi nel corso dell’esistenza, con un processo graduale che prosegue con il loro decadimento e la loro estinzione.

Le sei basi sensoriali

Le aperture nella casa di cui all’immagine del bhavachakra sono quindi le finestre che ci mettono in contatto con l’esterno, e la porta (il mentale) che, se non è ben custodita, lascia entrare chiunque, impedendo una corretta conoscenza.
Il meccanismo della percezione condizionato dall’ignoranza ha come conseguenza la genesi di una serie di “legami”, specificamente elencati negli insegnamenti buddhisti, quali ad esempio il credere che esista una personalità con un sé autonomo, il dubitare dell’efficacia della pratica, l’avversare ciò che è percepito come sgradevole, il ritenere duraturo ciò che è impermanente ecc., generando così sofferenza.
Si può proporre un esempio sulle modalità secondo cui si svolge il processo, che è in realtà una serie di processi in rapida successione. Si esamini ad esempio il processo della visione, così come descritto negli antichi insegnamenti buddhisti: un oggetto visibile entra nel campo visivo, agisce sull’occhio, organo di senso in grado di recepire lo stimolo luminoso, e condiziona un’eccitazione del flusso subconscio. L’elemento mentale “afferra” l’oggetto e “avverte” la mente. Sorge allora, così condizionata, la coscienza visiva, che compie l’azione del vedere. L’elemento mentale “riceve” quindi l’oggetto della visione, indaga sull’oggetto e lo associa alle varie classi di coscienza. Quindi, ciò che qui è importante, prima sorge la coscienza sensibile, e dopo la coscienza mentale. Non è dunque l’occhio che vede, bensì la mente, come è confermato dalla moderna fisiologia.
La coscienza mentale non sorge da un organo di senso, ma dalla coscienza sensibile che deriva dal contatto tra organo di senso ed oggetto.

Gli insegnamenti buddhisti non si occupano in modo particolarmente dettagliato dei meccanismi fisiologici della percezione (ad esempio lo studio dell’occhio o degli altri organi di senso), quanto piuttosto dei meccanismi mentali dei processi cognitivi, dell’aspetto cosciente della percezione, pur non mettendo affatto in discussione l’esistenza di un mondo oggettivo.
Dire, come alcune scuole facevano, che il mondo non esiste, è considerato dal Buddha una “concezione errata”. Ma ciò che interessa è che il mondo è “in questo profondissimo corpo, dotato di percezione e di senso interno”.
Il cammino del sentiero buddhista porta quindi a diventare “un conoscitore del mondo”, per poter diventare indipendenti da esso, apprendendo quella che è chiamata “la fine del mondo”, ovvero la cessazione della sofferenza (la quarta Nobile Verità).
È detto nei testi che un Risvegliato “cresce nel mondo, si solleva al di sopra del mondo e sta, non contaminato dal mondo – proprio come il loto cresce nell’acqua, si solleva al di sopra dell’acqua e sta, non contaminato da essa”.



VI – Phassa, il contatto

Phassa (in sanscrito sparsha), il contatto, è il sesto anello della catena dell’originazione dipendente. Il contatto non è ancora ciò che viene chiamata “sensazione”, è invece l’incontro tra tre elementi: la base sensoriale (ciò che si è visto nel quinto anello, salayatana), l’oggetto (la forma) e la coscienza che ne trae origine. Ad esempio, l’incontro tra l’occhio, una forma visibile e la coscienza visiva – oppure tra l’apparato uditivo, una vibrazione dell’aria o di un altro conduttore con la qualità dell’elasticità, e la coscienza uditiva, ecc.
La stessa cosa avviene per quanto concerne l’incontro tra la base mentale, l’oggetto mentale (idee, immagini mentali, fantasie…) e la coscienza mentale.
Dall’incontro dei tre elementi nasce il contatto, dal contatto nasce quindi la sensazione (vedana, il settimo anello).
Il che corrisponde allo schema del processo di percezione della realtà secondo la psicologia occidentale:


1. Stimolo esterno
2. Stimolazione (all’interno dell’organo di senso, non ancora cosciente)
3. Sensazione (esperienza cosciente, ma indifferenziata: luce, rumore, odore…)
4. Percezione (identificazione dell’informazione)
5. Sentimento (valutazione da parte dell’individuo).



Il contatto
Phassa può forse corrispondere al punto 3, sensazione. È lo stimolo che origina ogni tipo di attività mentale, ed è altresì inevitabile, in quanto il mondo (interno ed esterno) è pieno di fenomeni: immagini, suoni, odori, sapori, oggetti, pensieri…
In effetti, nel buddhismo l’elemento “phassa” non è chiarito in maniera del tutto esplicita, ed è stato oggetto di dibattiti tra gli esponenti delle varie scuole e tradizioni.
Soprattutto, non è chiaro se si tratta già di una esperienza sensoriale cosciente, seppure indifferenziata, oppure se è semplicemente la compresenza dei tre fattori nello stesso istante. Come disse un maestro buddhista, “il contatto non esiste. Il contatto è solo un nome che sta per la stretta vicinanza” dei tre fattori. D’altra parte, dal punto di vista buddhista i fenomeni non sono considerati oggetti, aventi realtà propria, bensì processi impermanenti, interdipendenti, vuoti, ovvero privi di esistenza intrinseca.

Ciò che qui è importante è che il processo che chiamiamo phassa, contatto, è quello che ci mette in relazione col mondo, che ci lega alla realtà esterna coinvolgendoci nel ciclo della produzione condizionata, della sofferenza ciclica. È scritto in un testo: “Ovunque sorga dolore, tutto questo è in conseguenza delle sensazioni”. Conoscere il processo contatto-sensazione, ri-conoscerlo, significa compiere un passo importante nella direzione della liberazione.
Non a caso, talvolta negli insegnamenti antichi la serie del paticcasamuppada inizia proprio da phassa, per mostrare come esso sia un punto fondamentale su cui lavorare per comprendere il processo del sorgere dipendente e per potersene affrancare.

Si legge in un testo:

Per coloro che sono corrotti dal contatto, che sono entrati nel flusso dell’esistenza, che nella cattiva strada sono entrati, è ben lontana la distruzione dei vincoli. Ma coloro che, avendo pienamente compreso il contatto, si deliziano nella sua interruzione, costoro invero, chiaramente intendendo il contatto, sono totalmente estinti”.


Testi

Cornu Dizionario del Buddhismo Ed. Bruno Mondadori
Falà Namarupa, il nome e la forma in: Paramita n. 35
Falà Salayatana, gli organi sensoriali in: Paramita n. 36
Falà Phassa, il contatto in: Paramita n. 37
Johansson La psicologia dinamica del buddhismo antico Ed. Ubaldini

Nessun commento:

Posta un commento