lunedì 4 novembre 2013

I 12 anelli della produzione condizionata: 1 - L'ignoranza; 2 - Le formazioni karmiche

I - Avidya, l’ignoranza

Il buddhismo non nega né afferma l’esistenza di uno o più dèi, ma negli insegnamenti non viene comunque accettata l’esistenza di un creatore dell’universo, di un “motore immobile” (anche se tale negazione non ha assolutamente il valore di un dogma, non essendovi dogmi nelle tradizioni buddhiste, ma solo insegnamenti da sottoporre costantemente al vaglio della propria personale esperienza). Il Buddha storico, Siddhartha Gautama Shakyamuni, ha parlato solo di cause e condizioni: ogni cosa, ogni fenomeno (fisico e/o mentale), ha la sua origine, e la sua fine, in dipendenza da cause e condizioni.
Dal punto di vista buddhista non si può quindi parlare di una “causa prima” della sofferenza o di qualsiasi altro fenomeno. Cercarla non serve al cammino degli esseri sulla Via della liberazione dal dolore (ciò che il buddhismo in effetti è), anzi può diventare un ostacolo. 
Per questo nel bhavachakra i 12 anelli (nidana) dell’originazione dipendente (o sorgere dipendente, o produzione condizionata) sono rappresentati come un cerchio, i cui elementi si susseguono l’uno all’altro, ed in cui nessun punto è il “primo”, ma ognuno è effetto dei precedenti e causa del successivi. L’intero processo è all’origine della sofferenza del samsara, cioè degli stati di esistenza condizionati dall’ignoranza e dal karma che ne consegue, e quindi impregnati di sofferenza e frustrazione più o meno intense. 
Gli insegnamenti sulla produzione condizionata, come tutti gli insegnamenti buddhisti, hanno una funzione pratica: mostrare la via verso la liberazione, la guarigione dalle sofferenze, in un percorso che passa attraverso la comprensione (non soltanto intellettuale, razionale, ma soprattutto fondata sulla personale esperienza concreta) del processo che sta all’origine della sofferenza stessa, la comprensione della realtà così come è. 
Fermo restando l’assunto secondo cui non esiste per il buddhismo un principio primo, causale ma incausato, del processo del sorgere dipendente, lo studio inizia tradizionalmente dall’anello che rappresenta l’ignoranza, per poi proseguire in senso orario (talvolta si inizia invece dall’anello precedente, vecchiaia-e-morte, e si continua in senso inverso). 
Nel bhavachakra l’ignoranza è simboleggiata dall’immagine di una persona cieca, che cammina con un bastone sull’orlo di un baratro. Infatti “ignoranza” traduce, in maniera non del tutto esaustiva, il termine sanscrito avidya, ovvero assenza (a-) di conoscenza (vidya, da cui video, vedere ecc.). Ignoranza non è mancanza di cultura, di sapere teorico, di studi. È la non-comprensione, che porta ad avere visioni sbagliate: considerare permanente ciò che è impermanente; piacevole ciò che è doloroso; separato ciò che è da sempre in indissolubile unità; indipendente, di per sé esistente, ciò che è condizionato, privo di esistenza intrinseca. Ignoranza è quindi illusione, confusione, non conoscenza dell’autentica natura di sé e dei fenomeni. 
È la non-comprensione delle caratteristiche fondamentali dei fenomeni, il loro essere: 
- impermanenti (anitya
- privi di esistenza propria (anatman
- insoddisfacenti (duhkha). 
Sono tre dei quattro cosiddetti “sigilli” del Dharma, i quattro princìpi fondamentali a cui aderiscono tutte le scuole del buddhismo, laddove il quarto è il nirvana, l’estinzione della sofferenza. 
Nei testi del Canone, l’ignoranza è definita anche come la non-comprensione delle Quattro Nobili Verità: “L’ignoranza concerne il dolore, la sua origine, la sua cessazione e la via che conduce alla cessazione”. 
L’uomo nasce nel mondo privo della comprensione, confuso, e per questo segue incessantemente i propri impulsi, vive preda degli stimoli che provengono dall’ambiente, ad esempio è troppo aggressivo per provare interesse verso una Via di evoluzione spirituale, o troppo pigro per seguirla con costanza ed impegno. Credendo di manifestare la propria libertà, non fa che seguire inconsapevolmente i dettami del proprio ego condizionato, e crea così le cause della propria stessa sofferenza. 
In un antico testo del Canone, il Dhammapada (“Il Cammino del Dharma”), vengono riportati in forma di versi una serie di insegnamenti pratici relativi all’ignoranza, ai suoi effetti e ai mezzi per superarla. Si vedano ad esempio le seguenti stanze, che fanno parte del Bala Vagga, il “canto dell’ignorante”: 

62
Ho figli, ho denaro, 
così presume l’ignorante: 
Ma se il proprio io neanche è suo, 
di chi sono i figli, di chi il denaro? 

69
L’ignorante pensa tutto miele, 
finché il male non è maturo. 
Quando il male è maturato, 
allora, per l’ignorante, arriva la sofferenza. 

72
Per colmo di sventura, 
all’ignorante sorgono fama e onori, 
che uccidono la parte buona dell’ignorante 
e ne spezzano la testa. 

73-74
Desiderando una promozione indebita, 
venerazione tra i monaci, 
privilegi nell’abitazione, 
onori dalle altre comunità, 
pensando: “Questo l’ho fatto io”, 
sia esso un monaco o un laico, 
“Mio è certamente il controllo 
di cosa si deve o non si deve fare”, 
così prospera il pensiero dell’ignorante 
nella bramosia e nell’orgoglio. 

75
Poiché altra è la via del profitto mondano, 
altra la via del Nirvana. 
Avendo, quindi, ben compreso questo, 
il monaco che è discepolo del Buddha 
non si dovrebbe rallegrare per gli onori, 
praticando il distacco. 


L'ignoranza



II – Samskara, le formazioni karmiche

È detto (in lingua pali) : “Avijja paccaya sankhara”, ovvero: “dipendendo dall’ignoranza (avijja in pali, avidya in sanscrito) sorgono le formazioni mentali legate alla volontà che producono la rinascita”.
Infatti il I, II e III anello della produzione condizionata (ignoranza, formazioni, coscienza) sono chiamati “fattori proiettanti”, ovvero, appartenendo all’esistenza precedente costituiscono la base dell’esistenza presente e condizionano altresì l’esistenza futura (XI e XII anello).
Il termine “samskara” (sankhara in lingua pali, la lingua del Canone buddhista), che dà il nome al II anello del sorgere dipendente, è di difficile traduzione, in quanto porta con sé un ampio ventaglio di significati: è l’impulso all’azione, una volizione, una sorta di spinta, di intenzione ad agire in modo positivo, negativo o neutro.
Samskara è un nome plurale, che indica dei processi psicologici, sempre caratterizzati – si noti bene – dalla presenza della volontà. Essi costituiscono il flusso dinamico delle nostre attività intenzionali, fisiche verbali e mentali (azioni di corpo, parola e mente, come si dice negli insegnamenti), che danno origine a degli effetti. Infatti, il II anello è spesso definito come karma (in pali: kamma), o formazioni karmiche, ed è rappresentato nel bhavachakra dalla significativa immagine di un vasaio che fa girare la sua ruota per dare all’argilla la forma dei vasi.
Tale insieme di tendenze che senza sosta spingono l’uomo ad agire intenzionalmente e che vanno sotto il nome di samskara, è condizionato dall’ignoranza, la quale impedisce di vedere le cose come esse sono, nonché dagli altri fattori della produzione condizionata. A sua volta, samskara diviene (insieme con gli altri fattori) condizione degli altri elementi, e quindi della rinascita: è detto negli insegnamenti che “le formazioni [karmiche] suddividono gli esseri nei regni dell’esistenza”, rappresentati nel secondo anello del bhavachakra (inferni, spiriti avidi, animali, uomini, “titani” e dèi).
È quindi evidente il legame indissolubile con gli aspetti dell’etica buddhista: errate concezioni (ignoranza) portano a cattive azioni intenzionali (karma, samskara), e danno pertanto origine alla sofferenza e alle successive rinascite.
Ma un’errata visione della realtà può condizionare, motivare, anche attività volontarie buone. Ad esempio, spingendo l’essere umano verso il compimento di buone azioni motivate dal desiderio di rinascere in condizioni felici, o ritenute tali (“paradisi”, o migliori rinascite umane, caratterizzate dalla ricchezza, o dal piacere, ecc.). Ma si tratta di stati di felicità illusoria, proprio perché condizionati dall’ignoranza: il risultato sarà ancora, inevitabilmente, sofferenza, poiché qualsiasi stato sarà impermanente, e quindi fonte di ulteriore insoddisfazione. 

Il karma


La visione del mondo nel buddhismo
Una ulteriore, significativa, traduzione del termine samskara può essere quella di “processo creativo”, ovvero quella creatività mentale che dà origine al mondo interiore e alle vite future (si ricordi che la radice linguistica KR, da cui “karma”, ha il significato di “fare”, “causare”, e riporta direttamente al latino – e all’italiano –“creare”).
Il mondo, nella visione buddhista, è costruito attraverso processi mentali dinamici, è costituito da processi psichici che non esistono di per sé, in maniera indipendente, autonoma, ma sono interazioni di forze prive di un sostrato materiale. O per lo meno, l’esistenza di un sostrato materiale è qui una questione ininfluente, in quanto noi conosciamo i samskara solo come processi coscienti, attraverso l’introspezione.
Secondo Rune Johansson, psicologo svedese studioso del buddhismo antico, in Occidente la scienza ha cercato di stabilire una netta distinzione tra una realtà psicologica e una realtà materiale, del tutto indipendente dai nostri sensi, dalla nostra percezione.
Pur essendo sensata e praticamente necessaria nella vita quotidiana, tale distinzione è senz’altro esagerata, se non del tutto falsa.
Per il buddhismo antico – ma sostanzialmente per il buddhismo tout court – la distinzione tra corpo e mente è senz’altro chiara, ma i due tipi di realtà non sono così separati: la relazione che intercorre tra i due fattori è in effetti piuttosto complessa. Per il buddhismo, una percezione ordinaria del mondo, e di sé, non consente di averne una retta conoscenza. In un sutra è detto: “Tutto esiste – questo è un estremo. Nulla esiste – questo è l’altro estremo. Il Tathagata [il Buddha] non si avvicina a nessuno dei due e insegna una dottrina di mezzo: condizionate dall’ignoranza, le attività [i samskara] vengono e passano oltre…”, per poi proseguire con tutta la serie della produzione condizionata.
Il mondo, quindi, non esiste di per sé. Esso è un processo dinamico, dice Johansson, “costantemente prodotto e deliberatamente costruito dai nostri sensi, dai nostri pensieri e dai nostri desideri”.
Ovvero, le percezioni che noi abbiamo degli oggetti, i quali non sono inesistenti, sono parte essenziale degli oggetti stessi. Nulla esiste di per sé, nulla è costante, separato dal resto.
Non c’è solo soggettività, bensì il processo soggettivo di formazione dell’immagine fa parte dell’oggetto stesso.
Insegnava il Buddha: “Il mondo è innalzato dalla mente, dalla mente è spazzato via”. In altre parole, ogni cosa esiste solo condizionatamente, viene costantemente creata dal mentale. Di converso, distruggere il mondo – ovvero realizzare la comprensione della realtà così com’è – significa realizzare la liberazione dalla sofferenza.

La sofferenza

Poiché nel corso dello studio dell’originazione dipendente si fa costantemente riferimento alla condizione di sofferenza in cui gli esseri vivono, può essere utile la lettura del testo noto come “Discorso sulle quattro Nobili Verità”, il Dhamma Cakkappavattana Sutta (in sanscrito: Dharmachakrapravartana Sutra, ovvero “la messa in movimento della ruota del Dharma”), il primo insegnamento che il Buddha diede in pubblico dopo il Risveglio, per rende più chiaro il senso profondo della sofferenza (duhkha, “ciò che è difficile da sopportare”):

Così ho sentito. Una volta il Benedetto soggiornava presso Varanasi, a Isipatana, nel Parco delle Gazzelle.
Quindi si rivolse al gruppo di cinque monaci: “Questi due estremi devono essere evitati se si ricerca la verità. Quali sono questi due estremi? Quello di attaccarsi ai piaceri dei sensi, a ciò che è basso, volgare, terreno, ignobile e dannoso; e quello di dedicarsi alle automortificazioni, a ciò che è doloroso, ignobile e dannoso. Evitando questi due estremi, monaci, il Tathagata ha scoperto la via di mezzo che conduce alla chiara visione e alla conoscenza, alla pace, alla saggezza, al risveglio ed al Nirvana.
E quale è, monaci, questa via di mezzo che il Tathagata ha scoperto e che conduce alla chiara visione e alla conoscenza, alla pace, alla saggezza, al risveglio ed al Nirvana? È il Nobile Ottuplice Sentiero, e cioè: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto sostentamento, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione.
Questa, monaci, è la nobile verità del dolore. La nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l'unione con ciò che odiamo è dolore, la separazione da ciò che amiamo è dolore, non ottenere ciò che desideriamo è dolore, in breve i cinque aggregati dell'attaccamento sono dolore.
Questa, monaci, è la nobile verità sull'origine del dolore. E' la sete che porta alla rinascita, vincolata all'avidità e alla brama, e ovunque porta all'attaccamento, vale a dire la sete dei piaceri dei sensi, la sete di esistenza e del divenire, e la sete di non-esistenza.
Questa, monaci, è la nobile verità della cessazione del dolore. È la completa cessazione della sete, l'abbandono, la rinuncia, la liberazione, il distacco.
Questa, monaci, è la nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione del dolore. È il Nobile Ottuplice Sentiero, e cioè: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto sostentamento, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione.
In me sorse la visione, il sapere, la conoscenza, la saggezza, la scienza e la luce in relazione a cose mai udite prima: 'Questa è la nobile verità del dolore'.....'Questa nobile verità del dolore deve essere compresa'.....Questa nobile verità del dolore è stata compresa.'
In me sorse la visione, il sapere, la conoscenza, la saggezza, la scienza e la luce in relazione a cose mai udite prima: 'Questa è la nobile verità dell'origine dolore'.....'Questa nobile verità dell'origine dolore deve essere abbandonata'.....Questa nobile verità dell'origine dolore è stata abbandonata.'
In me sorse la visione, il sapere, la conoscenza, la saggezza, la scienza e la luce in relazione a cose mai udite prima: 'Questa è la nobile verità della cessazione dolore'.....'Questa nobile verità della cessazione dolore deve essere realizzata'.....Questa nobile verità della cessazione dolore è stata realizzata.'
In me sorse la visione, il sapere, la conoscenza, la saggezza, la scienza e la luce in relazione a cose mai udite prima: 'Questa è la nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione del dolore'.....'Questa nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione del dolore deve essere intrapresa'.....Questa nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione del dolore è stata intrapresa.'
Monaci, finché questa visione delle quattro nobili verità, nel suo triplice aspetto e nelle sue dodici modalità, non era completamente chiara in me, per molto tempo non ho proclamato questo mondo coi suoi dei, Mara e Brahma, i suoi asceti e bramani, i suoi dèi e uomini, perché ancora non avevo ottenuto il supremo Risveglio. Ma, monaci, quando questa visione delle quattro nobili verità, nel suo triplice aspetto e nelle sue dodici modalità, fu completamente chiara in me, allora ho proclamato questo mondo coi suoi dei, Mara e Brahma, i suoi asceti e bramani, i suoi dèi e uomini, perchè avevo ottenuto il supremo Risveglio.
Sorse in me la visione, la conoscenza: 'Incrollabile è la liberazione della mia mente. Questa è la mia ultima nascita e non ci saranno altre rinascite" [..].


Testi

Cornu Dizionario del Buddhismo Ed. Bruno Mondadori

Humphreys Dizionario buddhista Ed. Ubaldini
Pabonka Rimpoce La liberazione nel palmo della tua mano Ed. Chiara Luce
Martinelli Bala Vagga, il canto dell’ignorante in: Paramita n. 31
Falà Pratitya Samutpada Sutra in: Paramita n. 31
Falà Avijja, l’ignoranza in: Paramita n. 32
Falà Sankhara, le tendenze mentali in: Paramita n. 33
Johansson La psicologia dinamica del buddhismo antico Ed. Ubaldini



m. Mauro TonKo , ottobre 2013



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