domenica 29 novembre 2015

Corpo e religioni: qigong, zen, taiji

In un suo recente intervento sul quotidiano La Stampa (si può leggere qui il testo completo: 
http://www.lastampa.it/2015/11/03/cultura/opinioni/buongiorno/chiedi-alla-cenere-jMZSokNpkudTrisOzD47XL/pagina.html), il noto giornalista Massimo Gramellini ha perentoriamente affermato che “le religioni, che nei propositi dei loro fondatori dovevano occuparsi principalmente delle nostre anime, hanno finito per interessarsi in modo ossessivo dei nostri corpi”. Di quel corpo che “per chi crede in una dimensione immateriale dell’esistenza è solo un involucro passeggero, l’abito che lo spirito indossa per partecipare alla festa della vita e che poi dismette al momento di andare altrove. Di questo abito le religioni hanno sempre avuto una cura maniacale, da sarti d’alta moda. Hanno spiegato agli uomini come mortificarlo in vita, codificando una quantità di peccati anche superiore al numero possibile degli eccessi, e persino come regolarlo dopo la morte”.

Si tratta, come di per sé evidente, di affermazioni estremamente generiche e quindi ben poco significative: basterebbe chiedersi infatti che cosa sia “religione” e cosa non lo sia, poi di quali religioni si stia parlando, e ancora chi siano i fondatori delle stesse (Buddha o Gesù intendevano davvero fondare delle religioni?).
Ma è più interessante notare come l’atteggiamento delle “religioni” nei confronti del corpo umano non sia così univoco nel tempo, ovvero nella storia delle “religioni” e nello spazio, cioè nelle diverse tradizioni spirituali del mondo.
Basti pensare all’importanza del corpo nello Yoga, quello vero, non quello propinatoci nella maggior parte dei centri fitness!

Per cercare di andare un poco più in profondità rispetto ad osservazioni di facile presa ma di scarso spessore, ci si può utilmente confrontare con un libretto pubblicato dalle Edizioni Mimesis, dal titolo Il corpo consapevole - Le arti d'Oriente e l'integrazione della vita adulta, scritto da Salvatore Giammusso, docente di Storia della Filosofia presso l’Università di Napoli.
Nelle 100 pagine del suo lavoro, l’A. prende in esame tre diverse pratiche di matrice orientale, ormai diffuse anche in Occidente: il qigong, lo zen e il taiji. E lo fa proprio in relazione alle modalità con cui tali discipline “lavorano” sul corpo, sul respiro, sulla mente, sull’energia. Senza peraltro trascurare i legami che intercorrono tra le succitate Arti e le tradizioni religiose (sarebbe accettabile il termine per Gramellini?) del Buddhismo e del Taoismo.
Del volumetto di Giammusso proponiamo qui le considerazioni che lo concludono, che riteniamo molto interessanti per i praticanti… e per coloro che non si accontentano delle rubrichette dei quotidiani.
  
Scrive il Prof. Giammusso:

"Volgiamo ora lo sguardo sul cammino percorso per una breve considerazione di insieme. Si è visto che le discipline taoiste e buddhiste in questione hanno storia e tradizioni diverse e al tempo stesso risultano intrecciate tra loro sotto molti aspetti. L'analisi ha mostrato che qigong, meditazione zen e taijiquan lavorano in modo specifico su corpo, mente ed energia. Il qigong cura gli organi interni e l'attenzione, e mette in risalto soprattutto il lavoro sul respiro come tramite della relazione energetica tra organismo e ambiente; in maniera analoga, la meditazione attribuisce una funzione importante alla postura fisica e al rilassamento del respiro, ma l'attenzione al flusso di sensazioni, stati emotivi e pensieri ha il ruolo di spicco; infine il taijiquan fa ricorso alla respirazione addominale e alla visualizzazione e le integra nel movimento.



Ma al di là di queste sfumature, sembra più rilevante cogliere il fatto che nel complesso queste antiche arti d'Oriente si presentano come pratiche di consapevolezza che riorganizzano la struttura della coscienza favorendo il passaggio da una posizione egocentrica a una fondata su un'armonica relazione di contatto tra corpo e ambiente. In particolare, la pratica del qigong dimostra che la consapevolezza del respiro e del ciclo energetico porta a sentirsi parte di un più ampia sfera naturale. A sua volta la meditazione zen appare come pratica dell'attenzione che fa accedere alla dimensione "'mediale" della mente. Si varca questa "porta senza porta" - come suona un noto paradosso zen - quando si entra in contatto profondo con se stessi e si comprende il vuoto: qui ci si "'lascia andare", si lascia andare l'identificazione con l'ego e con le sue illusioni di controllo e si matura la semplice capacità di essere, per dirla con Winnicott. Allora si fa esperienza che è possibile essere al tempo stesso ben desti e tranquilli e si può rispondere alle questioni che il mondo ci pone senza sosta in maniera profonda e rilassata. Infine il taijiquan è la disciplina che insegna la consapevolezza della postura e del movimento nello spazio a contatto con gli altri. Esso può essere inteso come una via che sviluppa la capacità di muoversi senza muoversi, ossia di rimanere calmi e centrati nell'incessante movimento della vita. In uno sguardo di insieme potremmo dire che l'educazione a queste arti insegna a essere corpo, più che ad aver corpo, e integra pienamente la consapevolezza corporea nella struttura della vita psichica adulta.
Questa prospettiva consente di sviluppare un discorso sulla salute nel senso più ampio del termine, da non restringersi agli aspetti medici, ma da estendere alla sfera del benessere individuale e sociale della persona. Su questa connessione tra integrazione psicofisica, consapevolezza e adultità richiamiamo l'attenzione per un'ultima osservazione. Il lavoro di integrazione promuove la salute in un duplice senso: in un primo senso, più evidente, lo sviluppo della connessione di corpo, mente e respiro apporta diversi benefìci oggettivamente misurabili. C'è però un altro senso, più riposto: una sana consapevolezza disidentifica dall'agire in modo immediato (e quindi compulsivo) le proprie difese caratteriali, retaggio di un'età non adulta e dischiude una dimensione più profonda, integra dell'essere. Certo, il lavoro sull'integrazione non ha termine, in linea di principio è aperto. E questo perché non esistono solo fissazioni infantili: anche nella condizione adulta è sempre possibile il rischio della "caduta", sotto forma di irrigidimento rispetto al fluire della vita, chiusura in un orizzonte ristretto e noto, rifiuto di un vero incontro con situazioni estranee e nuove. E tuttavia le pratiche di consapevolezza rendono possibile far esperienza del corpo come vita nella sua feconda potenzialità, come crescita, sviluppo, libertà nella totalità degli aspetti, che includono la dimensione relazionale e il rapporto con la natura, in breve: apertura e disponibilità alla vita. Si può dunque guardare alla condizione adulta anche come una condizione dello spirito che risveglia alla vita nella sua mutevolezza e accoglie e sostiene le trasformazioni che accompagnano ogni sua fase. Da questo punto di vista c'è salute non solo là dove c'è normale funzionamento fisiologico, ma soprattutto dove si scopre meditativamente un legame profondo con la vita. In questo senso si può dire che uno spirito adulto è "sano", integro nonostante tutte le ferite, in quanto sa prendersi cura della vita in tutte le sue forme" (pag. 99 -100).



da:
S. Giammusso
Il corpo consapevole - Le arti d'Oriente e l'integrazione della vita adulta
Ed. Mimesis 2009

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