venerdì 20 novembre 2015

La Trimurti - Vishnu l'Onnipervadente e i Dasavatara


Quando Bhrigu, sacerdote del fuoco, scelse Vishnu come il più degno di venerazione rispetto a Brahma e Shiva, prese una decisione che aveva solide fondamenta, in quanto Vishnu è “l’unico dei tre [dei della Trimurti] ad essere chiaramente nominato nei testi vedici[1], ovvero i testi più antichi dell’Induismo. In un canto del Rig Veda si dice infatti:
“proclamerò ora l’eroica potenza di Vishnu, che misurò gli spazi terrestri
e che puntellò l’altissimo cielo, scavalcando con i suoi immensi passi il Trimundio”.

Si tratta di Vishnu Trivikrama, colui che compie tre passi per delimitare l’intero Universo, divinità solare che, come il sole nel suo percorso quotidiano, tocca i tre punti limite del mondo: la terra, l’aria, il cielo (per il sole: il levante, lo zenit, il ponente).
Vishnu Trivikrama è quindi anche Vishnu Urukrama, l’Onnipervadente: il suo nome deriva infatti dalla radice vish, pervadere.
E già in questo periodo della storia dell’India egli è dotato del suo simbolo principale, il Chakra, la Ruota del Sole.

Se in epoca vedica Vishnu è ancora una divinità secondaria, egli acquisisce successivamente un ruolo predominante nella Trimurti, insieme con Shiva.
Oltre ad essere una figura solare, si identifica anche con le Grandi Acque, divenendo Vishnu Narayana: da narah, le acque primordiali, origine della vita, e ayana, la dimora del Creatore che sta al di sopra delle acque stesse e periodicamente provvede alla rigenerazione del Cosmo. E proprio all’oceano primordiale fa riferimento il simbolo “V” che i devoti di Vishnu portano sulla fronte.
Vishnu Narayana ha quattro forme: la prima è Vasudeva, una forma imperscrutabile, se non per i saggi che la possono intuire come luce brillante e fiammeggiante, trascendenza perfetta priva di attributi. La seconda, Shesa, è un serpente che sorregge l’Universo sulla propria testa; la terza è la forma attiva, con la quale Vishnu, sotto dieci diversi aspetti (Dasavatara), scende sulla Terra per ristabilire il Dharma, l’equilibrio, la Legge cosmica, quando necessario; la quarta forma riposa sulle Acque, disteso sulle spire del serpente Ananta, l’Eternità.

Nella sua forma antropomorfica tradizionale, Vishnu è rappresentato come un giovane molto bello, con la pelle scura (un riferimento all’attuale Età Oscura, il Kali Yuga), la testa incoronata e quattro braccia. Nelle mani regge la Conchiglia della Vittoria, che è anche strumento bellico per la potenza del suo suono, il Chakra (arma da lancio e simbolo del sole), la mazza e un fiore di loto.
Fondamentali caratteristiche della sua personalità sono una assoluta dignità ed imparzialità e il distacco dalle passioni sia umane che divine: Vishnu è la personificazione divina delle virtù dei popoli arii (arya = nobile), il cui simbolo è lo svastika destrogiro  , emblema solare di buon auspicio (su = bene, asti = essere). Per questi motivi Vishnu è una delle divinità più amate e venerate nell’Induismo. Se Shiva è un dio eroico che spesso ricorre alla forza, anche alla violenza, Vishnu è altrettanto eroico, ma è tale grazie alla forza della persuasione, della pazienza, della calma. In questo senso è affine alla figura del Buddha (del tutto umana), e non a caso la devozione per Vishnu ha contribuito alla rinascita induista quando il Buddhismo ha iniziato ad entrare in crisi nel subcontinente indiano.
Associato a Vishnu (alcuni dicono come suo vahana, “veicolo”, altri lo vedono come divinità a sé, rilevandone la comune connessione con il Sole) è Garuda, figura con corpo umano e con becco e artigli di uccello rapace. Garuda è fratello di Aruna, cocchiere di Surya, il Sole. In quanto personificazione dei raggi solari, è colui che porta tutto a consumazione, quindi distruttore di ostacoli. È anche acerrimo nemico dei serpenti, dal cui regno salva la propria madre Vinata, che era stata lì rinchiusa per gelosia dalla di lei sorella Kadru, madre dei Naga, i serpenti, esseri dei mondi oscuri, custodi dei tesori sotterranei[2]. Anche se Vishnu è Shesa, il serpente che regge il cosmo, e proprio su un serpente, Ananta, il dio riposa tra le Acque primordiali. Ma i miti e i simboli non sono il luogo in cui cercare logica e pura razionalità, come non lo sono le profondità dell’inconscio umano da cui sorgono...
Proprio nella famosa immagine di Vishnu coricato sul serpente compare la sua compagna, Lakshmi, che gli massaggia delicatamente i piedi, partecipando così anch’essa alla prossima rinascita dell’Universo.
Lakshmi, detta anche Shri, “prosperità”, o Padma, “loto”, è la personificazione divina della buona sorte, del benessere. Secondo un mito del grande poema epico Ramayana ella sorse dall’Oceano di Latte, così come Afrodite nacque dal mare.
In un testo devozionale vishnuita è detto:
Shri, la sposa di Vishnu, è eterna e imperitura; e come Egli è tutto pervadente, Ella è onnipresente. Vishnu è il pensiero, Lei è la parola. Hari [Vishnu] è la gentilezza, Lei è la prudenza. Vishnu è conoscenza, Lei è intelletto. Lui è dirittura, Lei è devozione. Egli è il creatore, Lei è la creazione. Shri è la terra; Hari è il suo sostegno. Vishnu è la forza, l'eterna Lakshmi è l’umiltà. Egli è desiderio, Shri è volontà. Egli è il sacrificio, Lei è il dono sacrificale... Lakshmi è l’altare, Hari è l’impalcatura dell’altare. Shri è il combustibile, Hari è il grasso sacrificale[3].

I Dasavatara

Lakshmi, fedele compagna di Vishnu, compare al suo fianco in ognuno dei suoi Avatara, sotto le forme di Sita, di Rukmini, di Varahi ecc.
I Dasavatara
Il termine Avatara, che grazie ad Internet[4] e al cinema[5] si è diffuso anche in Occidente, significa letteralmente “discesa” e indica l’apparizione, l’incarnazione di un dio sulla Terra[6].
La nozione di Avatara è fondamentale nell’Induismo e deriva da tradizioni molto antiche, relative non al solo Vishnu, ma anche per esempio a Indra o a Shiva. Sotto un certo aspetto si può parlare di Avatara anche nel Buddhismo, relativamente alla figura del bodhisattva[7] del Buddhismo Mahayana.
 L’azione dell’incarnarsi del dio sulla Terra non è legata ad un suo semplice desiderio (come avvenne nel caso di Giove, che si fece cigno per sedurre Leda), ma risponde ad un preciso stato di necessità, come spiega nella Bhagavad Gita il dio Krishna, il principale Avatara di Vishnu, rivolgendosi ad Arjuna:
Si legge infatti nel capitolo IV, ai versi 7 e 8:
Ogni volta che in qualche luogo dell’Universo la religione declina e l’irreligione avanza, o discendente di Bharata, Io vengo in persona.
Discendo di era in era per liberare le persone pie, annientare i miscredenti e ristabilire i principi della religione[8].
L’Avatara – incarnazione della parte non-manifesta del dio che crea il mondo con solo una parte di se stesso, secondo la dottrina vedica[9] – “discende” quindi sulla Terra per salvare gli esseri dalla sofferenza e dal male.
Il numero degli Avatara di Vishnu varia a seconda delle tradizioni: si parla di 6, di 22, di 34, o di numeri ancora più grandi, nonché di Avatara “secondari”; inoltre sono talvolta considerati Avatara anche saggi, mistici, fondatori di scuole filosofiche, come ad esempio il bengalese Ramakrishna (1836-1886).
A partire dal X secolo, si fa riferimento tradizionalmente a dieci Avatara di Vishnu, i Dasavatara (dasa = dieci), ovvero:


1.        Matsya, il Pesce
2.        Kurma, la Tartaruga
3.        Varaha, il Cinghiale
4.        Narasimha, l’Uomo-Leone
5.      Vamana, il Nano
6.         Parasurama, Rama con la scure
7.        Rama, il Grazioso
8.        Krishna, l’Affascinante
9.         Buddha, il Risvegliato
10.     Kalki, il Cavallo Bianco

Il mito di Matsya è per gli Occidentali facilmente riconoscibile: essendo stato pescato da Manu, il primo uomo di questa era, un piccolo pesce (in realtà Vishnu) lo pregò di salvarlo e tenerlo con sé. Manu, compassionevolmente, fece quanto richiesto. Il pesce crebbe, fino a che gli ordinò di costruire una grande barca che potesse contenere una coppia di ogni animale e un seme di ogni pianta, poiché stava per sopraggiungere un Diluvio. Così, Vishnu-Matsya, divenuto gigantesco, salvò Manu-Adamo-Noè, trainando la barca fino ad una montagna. Grazie alla compassione di entrambi il mondo poté così ripopolarsi.

Kurma, la Tartaruga, è l’Avatara che salvò gli dei, rimasti privi, proprio a causa del Diluvio, dell’Amrita, l’Ambrosia dei miti greci. Vishnu-Kurma si tuffò nell’Oceano di Latte e fece da sostegno al Monte Mandara, che dei e asura usarono come mestola per frullare l’Oceano stesso, facendo così riaffiorare l’Amrita, il nettare dell’immortalità. Qui Vishnu svolge con tutta evidenza il suo ruolo di punto di equilibrio dell’Universo, in quanto base dell’axis mundi (il monte) intorno al quale ruota il Tempo (il serpente che lo fa girare): è la ricostituzione del Cosmo, l’Armonia a partire dalla quale tutte le cose possono manifestarsi, avere la vita di cui Amrita è essenza e simbolo.

Varaha
Anche Varaha, il Cinghiale, è figura-simbolo della restaurazione del Mondo dopo il Diluvio, in quanto rappresenta la forza che vince le tenebre. Varaha era in origine una forma di Brahma, ma nei miti vishnuiti divenne Avatara di Vishnu. Grazie a Varaha, disceso negli abissi in cui ella giaceva, una nuova Terra (di cui la dea Prithivi, “estensione”, è la personificazione) emerse dalle acque dopo il Diluvio, sorretta dalle zanne – o dalle braccia – del dio.

Il re Hiranyakashipu aveva ricevuto da Brahma il dono di non poter essere ucciso né di giorno né di notte, né da un uomo né da un dio né da un animale, né nel palazzo né fuori di esso. Anche per questo era divenuto un prepotente tiranno, arrivando a decidere di assassinare il proprio figlio, devoto di Vishnu. Al tramonto, tra le colonne intorno al palazzo, prima di ucciderlo prese a deridere la sua fede. Ma dalle colonne si materializzò un essere gigantesco, metà uomo e metà leone, che sbranò il tiranno. Era Narasimha (nara, uomo, e simha, leone) quarto Avatara di Vishnu, comparso quando non era più giorno ma non ancora notte, né dentro né fuori il palazzo, vero defensor fidei, simbolo della forza della fede ed altresì sintomo evidente di conflitti settari all’interno dell’induismo antico[10].

Anche il re Bali, discendente di Hiranyakashipu, era diventato un despota, in quanto aveva ottenuto grandi poteri grazie alla forza della sua ascesi (tapas), alla quale nemmeno gli dei potevano opporsi. Gli dei, preoccupati, chiesero a Vishnu di intervenire. Egli, in forma di sacerdote nano, Vamana, si presentò alla corte del re, uomo peraltro pio e devoto del dio Indra (altro probabile segno di conflitti storici tra culti diversi). Il re offrì un dono a Vamana, e questi gli chiese un po’ di terra, quanta ne avrebbe potuto misurare con tre dei suoi piccoli passi. Bali, caritatevole, acconsentì, ma il nano si trasformò nel gigantesco Vishnu Trivikrama e con due soli passi superò tutti i territori del regno. Non fece, per compassione, il terzo passo, lasciando così a Bali le regioni degli Inferni. In questo mito, il Vishnu Trivikrama creatore dei mondi diviene il distruttore di un regno, restaurando però con la sua opera il Dharma, l’Ordine divino, anche a livello politico oltre che cosmico.

Il sesto Avatara, Parasurama (Rama con l’ascia da guerra, parasu, che lo rende invincibile) ci testimonia invece di una guerra durata 21 anni lungo le coste del Malabar (Sud-Ovest dell’India), tra i Brahmani, la casta sacerdotale, e gli Kshatrya, i guerrieri. Durante una visita nell’Ashram (comunità) del padre di Parasurama, che era un saggio brahmano, il re Kartavirya compì un grave sacrilegio, rubando la Vacca dell’Abbondanza. Parasurama lo uccise, nonostante il re avesse cento braccia. Iniziò allora una guerra tra i Brahmani e gli Kshatrya, che si concluse con la disfatta dei guerrieri e la restaurazione della classe sacerdotale.

Nel poema epico Ramayana, Parasurama, dio dalla scure invincibile, istruito da Shiva, compare poi come avversario di Rama, il settimo Avatara di Vishnu, ma questo paradosso può essere spiegato col fatto che “storicamente Parasurama è una incarnazione del Sud, mentre Rama, più antico, è un Avatara del Nord, più genuinamente ariano[11].
Rama, o Ramachandra, il Grazioso come la Luna, è insieme con Krishna il più importante degli Avatara di Vishnu. Figura storica e mitica nello stesso tempo, incarna le qualità del guerriero, disceso sulla Terra per combattere l’eterna battaglia tra il Dharma e l’Adharma, la Luce e le Tenebre. In termini storici, per conquistare sotto il dominio degli Arii tutta la penisola indiana e l’isola di Lanka. Questo conflitto è l’oggetto di uno dei due grandi poemi epici indiani, il Ramayana, opera di Valmiki, composto, almeno nel suo nucleo centrale, tra il 500 e il 300 a.C. –quindi dopo il Mahabharata, anche se narra fatti antecedenti l’opera di Vyasa.
Avversario di Rama è il demone Ravana, re di Lanka, il quale spadroneggia sulla Terra uccidendo i saggi Rishi e distruggendo gli altari.

Rama e Sita
Prima ancora di essere un guerriero, Rama è un saggio, che rimane vittima, con la moglie Sita (divinità preposta all’agricoltura, il cui nome significa “solco”, da cui nacque), di un intrigo di palazzo, a seguito del quale si ritira in esilio con il fratello Lakshmana e con Sita. Il demone Ravana si innamora di Sita, la rapisce e la porta con sé a Lanka. Rama decide quindi di invadere l’isola per liberare Sita. Per attuare il progetto Rama si allea con il popolo degli uomini-scimmia (storicamente, gli abitanti dell’India del Sud…), in particolare con il generale del re Sugriva, Hanuman, elevato a dio della fedeltà e tuttora popolarissimo in India. Grazie ad un ponte costruito dagli uomini-scimmia, Rama e il suo esercito invadono l’isola, Ravana è sconfitto, Sita è liberata… e Lanka è sottoposta al dominio dell’India. Ma Rama non è certo che Sita durante la prigionia gli sia rimasta fedele. Per provarlo, ella si sottopone alla prova del fuoco (sati), e Agni, dio del fuoco, la risparmia. Secondo una versione del mito, Rama la riprende con sé, secondo un’altra Rama la ripudia e Sita poi muore inghiottita dalla terra da cui era nata.
Rama è per gli induisti “l’uomo perfetto, il marito perfetto, l’amico perfetto, è spiritualizzato anche come Dio perfetto, la più pura incarnazione[12] di Vishnu. Ai funerali il suo nome (“Ram Ram”) viene ininterrottamente salmodiato. Quando il Mahatma Gandhi venne colpito a morte da tre colpi di pistola, il 30 gennaio 1948, le sue ultime parole furono: “He Ram! – Mio Dio![13].

Dell’ottavo Avatara di Vishnu, Krishna, si dirà a parte, data l’importanza e la complessità della sua figura e del suo culto nell’India antica e moderna.

Il successivo Avatara è la ben nota figura del Buddha, il Risvegliato. Già nei testi del Rig Veda – quindi ben prima del Buddha “storico” Siddhartha Shakyamuni – era menzionato un Budha (sic), “l’intelligente”, figlio del dio Soma, la Luna, e di Tara (“stella”, da lui rapita e sedotta), moglie del precettore degli dei. Budha si identifica con il pianeta Mercurio dell’astrologia indiana.
Il Buddha inserito nell’elenco dei Dasavatara (ma non in tutti quelli degli Avatara) è invece Siddhartha Gautama Shakyamuni, il “fondatore” di quello che divenne il “Buddhismo”, e del quale non riproponiamo qui le ben note vicende.
La presenza del Buddha come manifestazione di Vishnu è senza dubbio un segno dell’atteggiamento di grande tolleranza da parte dell’Induismo nei confronti delle altre tradizioni religiose: durante la sua vita il Buddha era entrato spesso in polemica con i brahmani, e nei suoi insegnamenti aveva nettamente rifiutato alcuni elementi centrali dell’ortodossia induista – ad esempio la nozione di un Sé (atman) dotato di esistenza propria, la funzione dei sacrifici agli dei, il ruolo stesso della casta sacerdotale... E infatti il Buddhismo non è compreso tra le sei scuole (darshana) classiche astika (“ortodosse”) hindu, è invece una delle tre scuole nastika (con i materialisti e i Jaina).
Ciononostante il Buddha è considerato un Avatara di Vishnu, in quanto venne riconosciuto il fatto che tutta la sua esistenza fu dedicata alla ricerca del Bene e della liberazione dalla sofferenza per tutti gli esseri.
Ma la vicenda di Vishnu-Buddha ci parla inoltre della altrettanto grande capacità di assorbimento di una tradizione religiosa da parte di un’altra. Il Buddha venne accettato dall’Induismo ma fu anche limitato, adattato alla visione hindu: egli perse la sua forza innovativa e rivoluzionaria, diventando un semplice “restauratore” del Dharma, come sono tutti gli Avatara.
D’altra parte in India non esiste un culto del Buddha come Avatara di Vishnu, che è citato come tale in pochi testi.
E in effetti anche i seguaci del Buddha “buddhista” nel territorio indiano (Sri Lanka è uno Stato a sé) sono pochissimi: alcune minoranze nell’India del Nord (Sikkim, Ladakh), i profughi giunti dal Tibet dopo l’invasione cinese, i pellegrini di ogni parte del mondo che visitano i luoghi santi del Buddha.

Ed infine Kalki, o Kalkin, futuro Avatara di Vishnu, raffigurato come cavallo bianco, o come essere umano con la testa di cavallo, o come eroe sul dorso di un cavallo.
Kalki
Con Kalki si entra nell’apocalittica induista, così come esistono un’apocalittica ebraica, una cristiana, una islamica (l’attesa del Mahdi, il “ben guidato da Dio” che apparirà alla fine dei tempi)... Ed anche una buddhista, rappresentata dal futuro Buddha Maitreya. Si rammenti a questo proposito che il termine “apocalisse” non significa propriamente distruzione, fine del mondo ecc., bensì “rivelazione”, “svelamento”, e “designa un genere letterario che presenta la storia passata, come predizione del futuro, sotto forma di visioni, simboli, immagini mitiche e numeri[14]: Anche se le apocalissi effettivamente ci parlano della fine di un mondo e della speranza in un mondo a venire, migliore del precedente.
Kalki sarà figlio di un brahmano, diverrà un Chakravartin, “colui che fa girare la Ruota”, un Monarca Universale[15], e il suo compito sarà quello di restaurare il Dharma, la Legge cosmica, anche come diritto e giustizia umana. Il momento della sua discesa sarà preceduto da segni evidenti: il caos e la violenza regneranno tra gli uomini, la Verità e la Morale non avranno più alcun valore, soltanto i beni materiali saranno desiderati, i rapporti tra uomo e donna non saranno retti dall’amore ma solo dal piacere. E vi saranno anche segni celesti: appariranno sette Soli, e per il gran calore le acque saranno risucchiate.
Kalki esprime evidentemente la speranza, da parte del mondo hindu, in una futura restaurazione delle sue tradizioni e dei suoi valori, distrutti dalle invasioni musulmane che si erano protratte dall’VIII secolo in poi, e di cui avevano sofferto anche i buddhisti, che proiettarono in Maitreya le stesse speranze. Così come fecero gli Ebrei con l’atteso Messia, o i Greci, che predicevano la venuta un sovrano che avrebbe portato pace a tutti gli uomini. E i Cristiani, che per bocca di Giovanni parlano, come i testi vishnuiti, di “un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio[16].





[1] A. Morretta, Miti indiani, Ed. Longanesi, pag. 120.
[2] Si osservi che i Naga nell’India del Sud divengono oggetto di venerazione nel culto shivaita. Poiché Garuda è figura di origine vedica, è probabile che la sua inimicizia coi Naga sia un ricordo dei pericoli che i popoli provenienti dal Nord correvano nelle foreste indiane infestate dai serpenti.
[3] In Morretta, op. cit., pag. 219.
[4] “Nel gergo di Internet, l’avatar è un'immagine scelta per rappresentare la propria utenza in comunità virtuali, luoghi di aggregazione, discussione, o di gioco on-line. Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Avatar_(realtà_virtuale).
[5] Avatar, film di fantascienza del 2009 diretto da James Cameron.
[6] L’Avatara (o Vibhava) va distinto dal Vyuha, l’emanazione dell’Essere Supremo (quattro nel caso di Vishnu); dall’Antaryamin, la presenza divina in ogni essere; dal Vigraha, il corpo visibile espressione del dio. Cfr. M. Stutley-J. Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 48.
[7] Colui che rinuncia al Nirvana per aiutare tutti gli esseri a raggiungere la liberazione dalla sofferenza.
[8] Bhagavad Gita, Ed. Bhaktivedanta, pag. 173 segg.
[9] Cfr. Morretta, op. cit. pag. 127.
[10] Non si può non pensare, in tutt’altro contesto, alla profezia secondo cui Macbeth non poteva essere sconfitto da un nato da donna, e lo fu infatti da Macduff, nato da parto cesareo.
[11] Morretta, op. cit. pag. 148.
[12] Id. pag 154.
[13] D. Lapierre – L. Collins, Stanotte la libertà, Ed. Mondadori, pag. 485.
[14] La Bibbia, Ed. San Paolo, pag. 1302.
[15] Ciò che sarebbe divenuto Siddhartha Shakyamuni secondo le profezie, se non avesse poi scelto la Via della ricerca spirituale.
[16] Apocalisse, XIX 11-13.

1 commento:

  1. Ben scritto e ben detto.
    Conoscere il Krishna per me ha significato conoscere il vero Me (stesso).
    E poi riconoscere che questo spirito azzurro che vive in una carne è solo un mio Riflesso.

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