venerdì 15 gennaio 2016

Yin e Yang nel T'ai Chi T'u e nell’I Ching


È detto nel Tao te ching (II), il Libro della Via e della Virtù[1], opera del mitico Lao-tzu (VI sec. a.C.):
Tutti nel mondo riconoscono il bello come bello; in questo modo si ammette il brutto.
Tutti riconoscono il bene come bene; in questo modo si ammette il non-bene.
Difatti: l’Essere e il Non-essere si generano l’un l’altro; il difficile e il facile si completano l’un l’altro; il lungo e il corto si formano l’uno dall’altro; l’alto e il basso si invertono l’un l’altro; i suoni e la voce si armonizzano l’un l’altro; il prima e il dopo si seguono l’un l’altro[2].

Niente potrebbe rappresentare visivamente quanto sopra esposto meglio del simbolo denominato T’ai Chi T’u, ormai universalmente conosciuto, e spesso semplicemente chiamato “il Tao”, o “Yin e Yang”:

Il nome T’ai Chi T’u (o Taiji Tu) è traducibile come: “Diagramma del Fondamento Supremo”. Infatti il termine T’ai Chi (che è lo stesso che si ritrova nel nome dell’arte marziale nota come T’ai Chi Ch’uan, o Taiji Quan, dove ch’uan = pugno) “si riferisce originariamente al colmo di un tetto, al tronco orizzontale situato alla sommità del tetto dove si incontrano le due parti inclinate[3]. La trave centrale del tetto, quindi l’elemento veramente “supremo” e “fondamentale” di una casa o di un tempio.
Si ritiene tradizionalmente che il T’ai Chi T’u abbia origini preistoriche, ma è comunque un fatto che un simbolo circolare già nell’antica Cina raffigurasse il cielo nella sua metà superiore e la terra in quella inferiore. Nella sua interezza avrebbe rappresentato l’uomo, che è costituito da luminosità ed oscurità ed è il tramite tra il cielo e la terra.
Nella sua forma più nota – che richiama alla mente i mandala indiani ed analoghi simboli circolari appartenenti ad altre culture – il T’ai Chi T’u è composto da due figure a forma di pesce all’interno di una circonferenza. La figura nera, che rappresenta la condizione di riposo, è detta Grande Yin; l’altra, bianca, il Grande Yang, rappresenta il movimento. All’interno di ogni porzione si trova un cerchio di minori dimensioni, di colore opposto, una sorta di “occhio del pesce”: quello nero è il Piccolo Yin, quello bianco il Piccolo Yang. Questo significa che “ciascuna delle due polarità, lo Yin e lo Yang, contiene entro di sé il suo proprio opposto, da cui origina continuamente in un ciclo uniforme senza fine[4].
Il filosofo Chou Tun-I (1017-1073) scrisse a questo proposito nella sua opera T’ai Chi T’u Shuo (La Spiegazione del Diagramma del Fondamento Supremo):
Il Fondamento Supremo, attraverso il movimento, produce lo yang. Questo movimento, una volta raggiunto il suo limite, produce la quiete. Per mezzo della quiete Esso produce lo yin. Quando la quiete raggiunge il suo limite vi è un ritorno al movimento. Per questo, movimento e quiete divengono alternativamente l’uno la sorgente dell’altro. In questo modo la distinzione fra yin e yang viene a determinarsi rivelando le loro due rispettive forme[5].
Il simbolismo del T’ai Chi T’u è quindi l’espressione visiva della concezione della polarità Yin/Yang più volte citata. In effetti, i due spioventi del tetto, di cui la trave T’ai Chi è il colmo, rimangono alternativamente esposti alla luce e all’ombra, passando gradualmente dall’una all’altra col trascorrere delle ore, dal mattino al mezzogiorno alla sera, rappresentando così l’aspetto yang e quello yin che si scambiano e si trasformano vicendevolmente l’un l’altro. Così come accade per i versanti di una montagna, ora soleggiati, ora all’ombra.
Nella concezione taoista, che il diagramma sintetizza visivamente, yin e yang sono “le due opposte manifestazioni del Tao, [..] che possiedono una valenza universale e trovano applicazione nei fenomeni cosmici come nelle funzioni del corpo umano[6]. Infatti, come già visto per l’India, anche qui vale il principio dell’analogia tra ciò che è in alto e ciò che è in basso, tra il Cosmo e l’Uomo – principio classico nelle culture tradizionali, al di là delle distinzioni tra Occidente e Oriente.
Così, il cielo e i monti sono yang; la terra, le valli, le acque sono yin. Il giorno, un tempo limpido, il maschile, lo spirito, sono yang; la notte, la luna, il tempo tempestoso, il femminile, il corpo, sono yin. E all’interno del corpo, le arterie e l’espirazione sono yang; le vene e l’inspirazione sono yin.
Il movimento è yang, principio attivo, forza creativa; il riposo è yin, il passivo, la forza ricettiva.
Yin e Yang, i “Due Grandi Poteri”, rappresentano quindi per il Taoismo la sostanza originaria nella sua differenziazione, due aspetti inseparabili di un’unica forza, una polarità che non è però una dualità assoluta. “Dal momento che ogni cosa in questo mondo manifesto [..] nasce dal rapporto tra i due estremi polari [..], prima sollecitudine della vita umana è proprio la loro comprensione e la loro conservazione in uno stato di equilibrio e armonia[7].
Non si deve pertanto pensare la relazione tra le due polarità in termini di antagonismo (come ad esempio Male/Bene), bensì di complementarietà, di interazione, di cooperazione, anche se talvolta l’una esclude l’altra (es. luce/tenebre), ma sempre all’interno di una concezione ciclica dell’esistenza. In altre parole, yin e yangsi autodefiniscono a vicenda da un punto di vista formale e strutturale ma si alternano dal punto di vista temporale poiché, quando uno dei due poli raggiunge il massimo, può solo declinare e trasformarsi nell’opposto[8].
Si dice infatti nel Tao te ching (XL): “Il ritorno è il movimento della Via[9].

Il modello yin/yang esprime quindi una visione unitaria del Tutto, fondata sulle due polarità. Polarità non significa però separazione, la quale è invece l’effetto di un pensiero dualista, dicotomico. Ciò che il modello esprime è una tensione costante verso l’equilibrio e l’armonia, che costituisce il fondamento della cultura tradizionale cinese.

È questo un punto centrale del pensiero e della pratica del Taoismo, il quale “riconosce che gli opposti sono necessari alla vita e al reciproco miglioramento ma insegna che tutto è relativo e impermanente. Esso invita a superare le opposizioni, a evitare gli estremi. Propone un pensiero integrato, non-duale, che conduce verso la visione olistica, globale e unitaria della realtà. Verso l’integrazione e non la separazione[10].

L’ideogramma “Tao” (Dao, in giapponese Do), la Via, esprime e chiarisce il pensiero:

Esso è composto da due parti: una, chuò (camminare), raffigura un piede che lascia delle orme:

.L’altra parte, shou (testa), è a sua volta composta da due elementi: (occhio), ovvero ciò che rende riconoscibile un volto, la consapevolezza di sé:

E, sulla sommità, due segni che richiamano delle ciocche di capelli raccolti sul capo, così come erano portati da persone di alto rango:
.
Nell’insieme, il Tao, la Via, “raffigura una persona speciale perché ha una piena consapevolezza di sé (mostra il suo volto) e cammina speditamente sulla strada che ha scelto, lasciando delle tracce per chi intende seguire lo stesso sentiero[11].

Tao è dunque la Via, è metodo, disciplina, dottrina. Ma Tao dal punto di vista metafisico, cosmologico, è Principio generatore e regolatore, sostrato dell’Universo, tuttavia impossibile da definire, da descrivere, da concettualizzare, come è evidente già nei primi versi del Tao te ching (I):
Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao
il nome che può essere nominato non è l’eterno nome
il senza nome è l’inizio del cielo e della terra
il nominato è la madre di tutte le cose[12].

Più oltre, nel capitolo XLII, si legge:

Il Tao produsse l’uno / l’uno produsse il due / il due produsse il tre / e il tre produsse tutti gli esseri[13].

Il che ci conduce a parlare del più antico testo cinese nel quale siano espressi i principi cosmologici che sottostanno al Diagramma del Fondamento Supremo, ovvero il famoso I Ching, il Libro dei Mutamenti.
Si trattava in origine di un testo oracolare, una raccolta di segni utilizzati come oracoli dagli uomini di Stato, che risale ad oltre 3000 anni or sono (già nel 1143 a.C. l’imperatore Wen ne scrisse un commento). Nel tempo acquisì sempre maggiore importanza anche e soprattutto dal punto di vista filosofico-religioso, e divenne oggetto di studi e di commentari da parte dei più grandi maestri di tutte le scuole di pensiero, taoiste e confuciane, a partire da Lao-tzu e Confucio stessi.
Fino ad essere studiato e commentato in tempi recenti (1948) dal più volte citato Carl Gustav Jung, che scrisse la prefazione all’edizione inglese dell’opera[14].
In verità, nell’I Ching non compare il diagramma del T’ai Chi T’u, ma in una appendice, aggiunta al più antico testo base, è detto:
Per questo vi è nei mutamenti il grande inizio primordiale [il T’ai Chi]. Questi genera le due forze fondamentali. Le due forze fondamentali generano le quattro immagini. Le quattro immagini generano gli otto segni[15].
Si tratta dello stesso processo visto nel già citato cap. XLII del Tao te ching: il T’ai Chi genera le due polarità, che saranno poi chiamate yang e yin e che nell’I Ching sono rappresentate da due linee, una intera e una spezzata.
Per raddoppiamento ne nascono le Quattro Immagini (associate alle stagioni) e, con l’aggiunta di una terza linea, gli Otto Segni (trigrammi), associati ad otto “elementi”. Questi non sono concepiti come “cose” definite, ma come “stati” transitori di ciò che accade in cielo e in terra: così, l’interazione tra le energie rappresentate dagli otto trigrammi dà luogo all’intero mondo fenomenico, le Diecimila Cose: gli otto segni si ampliano nei 64 esagrammi (2 x 4 x 8), che nell’I Ching vengono raccolti e affiancati da altrettante “sentenze”, da “immagini” e da dettagliati commentari che interpretano ogni esagramma ed ogni singola linea che lo compone, in base alla loro reciproca relazione, alla posizione all’interno del segno, alle loro qualità ecc.

Mentre i trigrammi rappresentano concetti, condizioni, cose, gli esagrammi introducono “il rapporto e l’interazione tra questi stessi concetti, condizioni e cose, nonché le loro mutue e reciproche reazioni, simboleggiando l’interazione dell’intero mondo manifesto nei suoi poteri di attrazione e repulsione[16].


Come si vede, l’idea fondamentale che sottostà all’I Ching è quella del mutamento, della trasformazione vicendevole delle due forze fondamentali, yin e yang, l’una nell’altra. Il titolo stesso dell’opera rende esplicita tale visione: I (o yi), come aggettivo, indica ciò che è facile, agevole; come nome, esprime il processo del mutamento: “non v’è niente di più facile del mutamento, in quanto esso è inscritto nell’ordine naturale delle cose: un essere vivente non è mai definito o definitivo, ma contiene già in sé il principio della propria trasformazione[17].
Infatti, anche gli esagrammi non sono entità statiche, definitive. Ognuno di essi, attraverso la trasformazione di una linea in quella opposta, può (può, non: deve) mutarsi in un altro, ma in maniera né casuale né deterministica, bensì in base al valore numerico delle linee.
Ad esempio, l’esagramma Kkunn, il Ricettivo, la Terra, il tardo autunno, attraverso il mutamento della linea inferiore, si trasforma nell’esagramma Fu, il Ritorno, il tuono, il moto che inizia nella terra dopo il solstizio invernale, il ritorno della luce:

2 - Kkunnn, il Ricettivo

24 - Fu, il Ritorno
Infine, un’ultima analogia che non può sfuggire alla mente: quella tra l’I Ching e il gioco degli scacchi (che si muovono su una base con 64 riquadri, quanti sono gli esagrammi), nel quale basta spostare un solo pezzo per modifica tutto l’insieme, “bloccando determinate possibilità d’azione ed aprendone altre, indebolendo o rafforzando una tale o una talaltra posizione[18].

In questo contesto, il saggio, il santo, l’illuminato, sarà quindi colui che vive ed opera in totale unità ed armonia con il Tao e con le sue trasformazioni:

Egli risponde ai mutamenti e si piega al movimento del tempo, agendo al momento opportuno e adattandosi alla situazione. Attraverso mille movimenti e diecimila mutamenti, il suo Tao resta uno”.

E poiché “ogni cosa ha radici e rami, gli eventi non finiscono che per ricominciare. Conoscere il buon ordine di successione delle cose equivale ad esser vicini al Tao[19].




[1] Lo si può anche trovare con il titolo Tao te King, Tao-teh Ching, Dao De Jing ecc., a seconda del metodo di translitterazione utilizzato. E la traduzione è altrettanto variabile: il Canone del Tao e del suo Carisma, il Libro del Tao e della Virtù ecc.
[2] J.J.L. Duyvendak (a cura di), Tao te ching, Ed. Adelphi, pag. 31.
[3] Da Liu, Tai Chi Chuan e meditazione, Ed. Ubaldini, pag. 27.
[4] Id., pag. 12.
[5] Cit. in: Da Liu, pag. 13.
[6] Da Liu, pag. 10.
[7] J.C. Cooper, Yin e Yang. L’armonia taoista degli opposti, Ed. Ubaldini, pag. 13.
[8] V. di Ieso, Taoismo in uno sguardo, Ed. Vozza, pag. 20. L’A., Vincenzo di Ieso, è Ecclesiasta Taoista, iniziato nel 1993, 14° generazione, della Scuola Xuan Wu Pai di Wudang, dal G.M. Rev. Wang Guangde con il nome Li Xuan Zong ed il titolo religioso di Chuanfa Huchi, “Discepolo che protegge e diffonde l’Insegnamento Taoista”. Si veda il sito Internet della Chiesa Taoista d’Italia, in: http://www.daoitaly.org/index.html.
[9] Tao te ching, cit., pag.104.
[10] Di Ieso, cit., pag. 21.
[11] Id., pag. 31.
[12] Paolo Siao Sci-Yi (a cura di), Tao Te King, Ed. Laterza, pag. 25.
[13] Tao te ching, cit, pag. 100.
[14] Si veda l’edizione italiana basata sulla versione tedesca del 1923 di R. Wilhelm, in: B. Veneziani e A.G. Ferrara (a cura di), I King, Ed. Astrolabio.
[15] I King, cit., pag. 583.
[16] Cooper, cit., pag. 57.
[17] A. Cheng, Storia del pensiero cinese – Vol. I, Ed. Einaudi, pag. 277.
[18] Id., pag. 283.
[19] Entrambe le citazioni sono tratte da Cheng, cit., pag. 291.


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