domenica 6 marzo 2016

Meditazione cristiana, meditazione buddhista

Quello che segue è il Prologo di un recente volume di Marco Vannini, All’ultimo papa – Lettere sull’amore, la grazia e la libertà, pubblicato da Il Saggiatore.
L’autore è uno dei maggiori filosofi e teologi italiani, studioso della mistica cristiana e dei suoi protagonisti, in particolare Meister Eckhart.
Questo suo lavoro è costituito da sette lettere, che Vannini indirizza a Benedetto XVI definendolo l’ultimo papa, nel senso in cui tale formulazione è stata usata da Friedrich Nietzsche nella sua opera maggiore, Così parlò Zarathustra, del 1885.

L’occasione per scrivere il libro è fornita a Vannini dalle dimissioni del Pontefice, delle quali egli individua una causa “nella contraddizione tra la necessità di difendere la credenza tradizionale, soprattutto per le masse popolari, e il doveroso rigetto di una religione ridotta a mitologia, cui è ignota l’esperienza dello spirito” (pag. 14).
I temi delle lettere sono quelli dell’amore, della grazia, della fede, della libertà, della giustizia. E, argomento di particolare interesse in questa sede, il tema del tesoro nascosto, ovvero quella conoscenza di noi stessi prefigurata sia dalla filosofia classica sia dalla mistica cristiana.
Non a caso già nel Prologo l’Autore cita la Lettera ai vescovi della chiesa cattolica emanata nel 1989 dalla Congregazione per la dottrina della fede, diretta all’epoca proprio dal cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI.
Il documento, pubblicato con il titolo Alcuni aspetti della meditazione cristiana, costituiva tra l’altro una condanna esplicita della meditazione buddhista, considerata un “modo erroneo di pregare” (pag. 10 della Lettera ai vescovi), la cui diffusione comporta il rischio di un “pernicioso sincretismo” (pag. 12) tra la meditazione cristiana e i metodi delle meditazioni orientali. Torneremo in seguito sul temi della Lettera ai vescovi del 1989. Ora, è interessante notare che la tradizione buddhista è più volte citata nel libro di Vannini: questa attenzione da parte di uno studioso della mistica non deve affatto essere motivo di stupore, anche se molti praticanti del Dharma ritengono che il buddhismo non solo non sia una religione (ineccepibile, se si pensa solo alle tradizioni abramitiche), ma men che meno una mistica. A costoro, forse timorosi, come gli estensori del documento della Congregazione, di qualche tipo di contaminazione (che non è sincretismo, è anzi la normale storia di qualsiasi tradizione culturale), è bene ricordare che il termine stesso mistica ha la sua radice nel verbo greco muein, tacere, e che il termine sanscrito muni, che troviamo nel nome di clan del Buddha storico, Shakyamuni, oltre che con saggio viene anche tradotto con silenzioso. E nulla meglio del silenzio può avvicinare l’uomo alla saggezza, quella che nasce dall’interiorità e non dall’accumulo di nozioni.

Scrive Vannini:

“L’ultimo papa è il protagonista del capitolo intitolato “Außer Dienst”, ovvero fuori servizio, a riposo, del capolavoro di Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
È un vecchio triste, dal viso magro e pallido, ma con una bella mano affilata - la mano di chi ha sempre impartito benedizioni. A lui, che ha servito fino all’ultima ora il vecchio Dio, cui un tempo tutto il mondo ha creduto, il mondo è diventato estraneo e lontano.
Il suo dialogo con Zarathustra – l’ateo - è in realtà il dialogo tra due uomini pii, in cui ciascuno riconosce la religiosità dell’altro. L'ultimo papa è ben consapevole che è stata la fede, intesa come volontà di verità, rifiuto della menzogna, a convertire Zarathustra all’ateismo, cioè a impedirgli di credere a un Dio frutto di mani e intelletto dell’uomo, e perciò, nonostante il suo ateismo, vicino a Zarathustra sente un segreto profumo d’incenso, una fragranza di lunghe benedizioni, per cui in nessun luogo della Terra può sentirsi meglio che presso di lui.
Dal canto suo, anche Zarathustra esprime rispetto per il vecchio, perché ama tutti gli uomini pii, mentre disprezza l’ “uomo più brutto”: costui è il vero assassino di Dio, che uccide Dio perché non sopporta colui che lo vede da parte a parte, ovvero vede intera la sua laidezza, la laidezza di chi nega la verità, nega i valori, ed è perciò il vero ateo.
Ha servito fedelmente il suo Dio e lo conosce da vicino, l’ultimo papa. Sa che era un Dio nascosto, pieno di mistero, che anche ad avere un figlio giunse per vie traverse: sulla soglia della sua fede sta un adulterio - dice, alludendo all'episodio del concepimento di Maria. Chi lo venera come Dio dell'amore, non ha una concezione molto elevata dell'amore, dato che questo Dio volle essere anche giudice, mentre chi ama, ama al di là di ogni ricompensa o giudizio. Agli inizi, da giovane, questo Dio orientale - lo JHWH biblico - era duro e vendicativo, aveva costruito anche un inferno per la soddisfazione dei suoi diletti, ma poi è diventato molle, misericordioso. Stanco del mondo, è morto soffocato dalla sua stessa pietà, come Zarathustra stesso ha intuito: non ha potuto sopportare la vista dell'uomo sulla croce - l'amore per l'uomo era diventato il suo inferno e da ultimo la sua morte.
Zarathustra dichiara che questo Dio defunto gli era comunque ripugnante, non aveva occhio limpido e faccia sincera, ma modi e facce equivoche da prete. E poi, perché doveva prendersela con le sue creature, questo vasaio cui erano mal riusciti i suoi prodotti (il riferimento è alla Lettera ai Romani 9, 20-21), se le sue creature non lo avevano compreso? Perché non aveva parlato più chiaramente? Vendicarsi sui suoi vasi e sulle sue creature era stato davvero un peccato contro il buon gusto! Esiste infatti un buon gusto anche nel campo della pietà, che finisce per far dire: “Basta con questo Dio! Meglio nessun Dio, meglio costruirci il destino con le nostre mani, meglio essere folli, meglio essere noi stessi Dio!”.
Anche da questo breve e parziale riassunto appare evidente quanto significativa sia questa pagina, scritta verso il 1885.
 Il punto di partenza è inoppugnabile: Dio è morto, come Zarathustra stesso proclama all'inizio e come Nietzsche aveva già affermato nella Gaia scienza, ovvero è morta la fede nel vecchio Dio. Pochi anni prima, in Umano, troppo umano (I, 113), il filosofo tedesco lo aveva detto così:

Quando, in un mattino di domenica, sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile? Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio. La prova di una tale asserzione manca. Sicuramente nei nostri tempi la religione cristiana è un'antichità emergente da epoche remotissime, e che si creda a quella asserzione - mentre per il resto si è rigorosi nell'esaminare ogni pretesa - è forse il frammento più antico di questa eredità. Un Dio che genera figli con una donna mortale, un saggio che incita a non lavorare più, a non pronunciare più sentenze e a badare invece ai segni della prossima fine del mondo; una giustizia che accetta l'innocente come vittima vicaria; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi contro un Dio, espiati da un Dio; paura di un aldilà, la porta del quale è la morte; il segno della croce come simbolo in un tempo che non conosce più la condanna e l'ignominia della croce - qual gelido soffio ci manda tutto ciò, come dal sepolcro di un antichissimo passato? Chi crederebbe che una cosa simile viene ancora creduta?

L'antica fede è finita, uccisa dalla sua stessa volontà di verità, che perciò, di fronte all'oggettività storica, si proibisce la menzogna di credere in quel Dio. Più ancora della volontà di verità, però, è stato il principio dell'amore, costitutivo di una fede imperniata sul Cristo morto in croce per amore dell'umanità, che l'ha fatta progressivamente evolvere, in modo tale che il vecchio Dio Padre, rex tremendae majestatis, terribilmente esigente coi suoi figli, è diventato un nonno misericordioso e poi addirittura una nonna, figura ancora più buona e condiscendente, ma del tutto insignificante. Non a caso ai nostri giorni si è diffuso il concetto di Dio-Madre, già enunciato da papa Giovanni Paolo i, poi ampiamente rilanciato soprattutto dalla teologia cosiddetta al femminile, e si fa un giubileo sul Dio-misericordia.
Questa pagina di Nietzsche sull'ultimo papa, ormai fuori servizio, balza imperiosa alla mente di fronte al fatto clamoroso, storicamente unico (quelle di Celestino V nel 1294 furono cosa ben diversa), delle dimissioni di Benedetto XVI.
Sulle ragioni di questa rinuncia le opinioni dei cosiddetti vaticanisti, che le riportano a problemi contingenti del suo incarico e della Chiesa, sono riduttive. Non sbagliate, nel senso che anche questi problemi avranno probabilmente giocato un ruolo nel far sentire al papa tutto il peso del suo ufficio, ma certamente non essenziali, perché le questioni che gli rendevano gravosa la croce, davvero cruciali, erano ben altre.
Le beghe e gli intrighi curiali sono fastidiosi, ma non nuovi, anzi, presenti da sempre. La vicenda della pedofilia è penosa per la Chiesa di questi anni, ma non è una novità: ecclesiastici donnaioli, pedofili, sodomiti ci sono sempre stati: nel Decameron la novella di Abraam Giudeo e Giannotto di Civignì mostra anzi, paradossalmente, che la loro presenza testimonia che Dio assiste la sua Chiesa. Destinato a esaurirsi in una stagione anche l'episodio delle carte trafugate dal segretario-maggiordomo: evento certo non tale da scuotere una navicella che ha corso ben altri mari e affrontato ben altre tempeste. Anche altri problemi, più seri, come quello del celibato dei preti o del sacerdozio femminile, non sono nuovi, né tali da turbare più di tanto un'istituzione abituata a pensare in termini di secoli, se non di millenni.
Il vero dramma è un altro e riguarda una cosa davvero essenziale: il venir meno dei fondamenti storici della fede. Ricordiamo che la principale fatica intellettuale di Benedetto XVI negli anni del suo pontificato è stata la redazione di una vita di Gesù, il cui ultimo volume precede, non casualmente, di pochi mesi le sue dimissioni.
Il lavoro è presentato come uno studio scientifico, di cui è autore il professor Joseph Ratzinger, l'esperto di storia del cristianesimo che dialoga con i dotti, prima ancora che il pontefice romano che parla ex cathedra. E il professor Ratzinger, cui sono ben noti i risultati della ricerca scientifica, non poteva onestamente credere alle storie bibliche, sa benissimo che sono invenzioni la Genesi, le storie dei patriarchi, l'Esodo ecc. E poi: costruzione mitica la storia della nascita di Gesù, il concepimento verginale, così come buona parte dei miracoli evangelici, ivi compresa la stessa resurrezione. Ma Benedetto XVI conosceva anche la profondità spirituale del cristianesimo, la fede come esperienza dello spirito, che sussiste intatta senza quelle credenze su cui è stata fondata per due millenni - anzi, viene davvero alla luce proprio senza di esse. Far passare il cristianesimo da mitologia a conoscenza dello spirito nello spirito deve essergli apparso un compito quasi impossibile, o tale comunque da richiedere forze molto superiori a quelle di un vecchio papa.
Il dramma di Benedetto xvi è prefigurato da Nietzsche in un altro capitolo del suo capolavoro, quello sulla “Festa dell'asino”, in cui tutti i personaggi si inginocchiano di fronte a un asino, venerandolo e incensandolo come un Dio. Già in antichissime immagini anticristiane Gesù era raffigurato come un asino, appeso alla croce, e anche qui si tratta di una sua parodia, cui alludono chiaramente alcune delle lodi rivoltegli. L'asino è un surrogato del vecchio Dio che è morto, ma all'indignato stupore di Zarathustra l'ultimo papa risponde che è meglio adorare un Dio sotto questa forma, piuttosto che non adorarlo affatto. In realtà, chi ha detto “Dio è spirito” ha fatto compiere il più grande passo verso l'incredulità, e non è facile sulla Terra rimediare a una tale parola. Il papa sa bene che chi ha detto “Dio è spirito” è Gesù stesso, nel colloquio con la samaritana narrato da Giovanni nel capitolo quarto del suo vangelo, e sa anche che la concezione di Dio come spirito è comprensibile so-lo se si ha esperienza dello spirito, ovvero quando si è spirito. Proprio allora però si è tentati di pensare che lo spirito sia qual-cosa dell'uomo, per cui, in conclusione, non vi sia un Dio al di fuori dell'uomo stesso. Il vecchio papa, che la sa lunga in materia di fede, conosce bene questa vicenda, che accompagna da sempre la mistica cristiana, nella quale proprio l'esperienza dello spirito conduce vicino a quell'ateismo che fu detto appunto “spirituale”, ben più temibile di quello banale dell'Illuminismo o del Positivismo. Ecco perché per la grande maggioranza degli uomini occorre un idolo, un Dio-Altro da adorare.

Benedetto XVI si è trovato stretto nella contraddizione tra la necessità di difendere la credenza tradizionale, soprattutto per le masse popolari, e il doveroso rigetto di una religione ridotta a mitologia, cui è ignota l'esperienza dello spirito. Da una parte, infatti, quando dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, il 15 ottobre 1989 il cardinale Ratzinger emanò quella Lettera ai vescovi su alcuni aspetti della meditazione cristiana che è, di fatto, una condanna non solo della meditazione di tipo buddhista, ma anche di ogni passaggio mistico per il distacco, per il vuoto, nel timore che esso comporti la fine del cristiane-simo in quanto religione, come noi la conosciamo da secoli.
 Dall'altra, Benedetto XVI il 12 settembre 2006 pronunciò a Ratisbona quel discorso che difendeva appassionatamente l'eredità filosofica greca, il Logos, in un momento in cui il biblicismo sempre più predominante nella Chiesa annulla il cristianesimo come religione della ragione, riducendolo così a una variante debole dell'ebraismo.
A differenza dell'ultimo papa dello Zarathustra, Benedetto XVI però non è stato messo fuori servizio, ma si è ritirato volontariamente, per non partecipare a feste dell'asino di nessun tipo. Perciò qui ci si rivolge a lui come all’ “ultimo papa” in un senso nobile, con profondo rispetto”.


Da leggere:

M. Vannini, All’ultimo papa. Lettere sull’amore, la grazia e la libertà, Ed. Il Saggiatore
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Ed. Mursia
Alcuni aspetti della meditazione cristiana – Lettera ai vescovi della chiesa cattolica, Ed. Paoline
(si trova anche in:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19891015_meditazione-cristiana_it.html)


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