lunedì 5 settembre 2016

Ecologia dell'uomo, fine dell'uomo

Ancora sul tema dell’ecologia dell’uomo, qui di seguito una significativa riflessione di un fisico di fama internazionale, Carlo Rovelli, autore tra l’altro di un aureo libretto, le “Sette brevi lezioni di fisica”, un testo di nemmeno 100 pagine capace però di aprire degli spiragli su una visione non convenzionale della realtà. Come spesso si dice, ognuno di noi osserva il mondo attraverso una cannuccia di paglia. E’ un dato di fatto – il problema è che molto spesso scambiamo la nostra scheggia di realtà con il mondo intero, come un girino in una pozza d’acqua che crede di conoscere l’oceano. Leggere il testo di Rovelli può avere l’effetto di una felice sbadataggine: colpire quella cannuccia che teniamo vicino all’occhio e con essa pungerci un poco, quel tanto che basta per rammentarci i limiti della nostra visione e invitarci a cambiare il nostro punto di osservazione. Senza per questo credere che quello nuovo sia più completo ed esaustivo del precedente…
La riflessione di Rovelli qui riportata “chiude” la settima ed ultima lezione, e, ben lungi dall’essere apocalittica – o meglio, lo è nel senso più profondo della parola –, non fa che riportarci alla bellezza e alla preziosità della vita umana e del mistero in cui si svolge, in totale unità con ogni aspetto dell’universo.



Penso che la nostra specie non durerà a lungo. Non pare avere la stoffa delle tartarughe, che hanno continuato ad esistere simili a se stesse per centinaia di milioni di anni, centinaia di volte di più di quanto siamo esistiti noi. Apparteniamo a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già tutti e-stinti. E noi facciamo danni. I cambiamenti climatici e ambientali che abbiamo innescato sono stati brutali e difficilmente ci risparmieranno. Per la Terra sarà un piccolo blip irrilevante, ma non credo che noi li passeremo indenni; tanto più dato che l'opinione pubblica e la politica preferiscono ignorare i pericoli che stiamo correndo e mettere la testa sotto la sabbia. Siamo forse la sola specie sulla Terra consapevole dell'inevitabilità della nostra morte individuale: temo che presto dovremmo diventare anche la specie che vedrà consapevolmente arrivare la propria fine, o quanto meno la fine della propria civiltà. Come sappiamo affrontare, più o meno bene, la nostra morte individuale, così affronteremo il crollo della nostra civiltà. Non è molto diverso. E non sarà certo la prima civiltà a crollare. I Maya e Creta ci sono già passati. Nasciamo e moriamo come nascono e muoiono le stelle, sia individualmente che collettivamente. Questa è la nostra realtà. Per noi, proprio per la sua natura effimera, la vita è preziosa. Perché, come scrive Lucrezio, “il nostro appetito di vita è vorace, la nostra sete di vita insaziabile” (De rerum natura, III, 1084). Ma immersi in questa natura che ci ha fatto e che ci porta, non siamo esseri senza casa, sospesi fra due mondi, parti solo in parte della natura, con la nostalgia di qualcosa d'altro. No: siamo a casa.
La natura è la nostra casa e nella natura siamo a casa. Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa. Della trama di cui siamo fatti noi stessi. Noi siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo. Lucrezio lo dice con parole meravigliose:
... siamo tutti nati dal seme celeste;
tutti abbiamo lo stesso padre, da cui la terra, la madre che ci alimenta,
riceve limpide gocce di pioggia, e quindi produce il luminoso frumento,
e gli alberi rigogliosi, e la razza umana,
e le stirpi delle fiere, offrendo i cibi con cui tutti nutrono i corpi,
per condurre una vita dolce e generare la prole...
(II, 991-997)
Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo a imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero.
Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato”.




Da leggere:

Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Ed. Adelphi
Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare, Ed. Cortina
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Ed. Adelphi