Ancora
sul tema dell’ecologia dell’uomo, qui di seguito una significativa riflessione
di un fisico di fama internazionale, Carlo
Rovelli, autore tra l’altro di un aureo libretto, le “Sette brevi lezioni di fisica”,
un testo di nemmeno 100 pagine capace però di aprire degli spiragli su una
visione non convenzionale della realtà. Come spesso si dice, ognuno di noi
osserva il mondo attraverso una cannuccia di paglia. E’ un dato di fatto – il
problema è che molto spesso scambiamo la nostra scheggia di realtà con il mondo
intero, come un girino in una pozza d’acqua che crede di conoscere l’oceano.
Leggere il testo di Rovelli può avere l’effetto di una felice sbadataggine:
colpire quella cannuccia che teniamo vicino all’occhio e con essa pungerci un
poco, quel tanto che basta per rammentarci i limiti della nostra visione e
invitarci a cambiare il nostro punto di osservazione. Senza per questo credere
che quello nuovo sia più completo ed esaustivo del precedente…
La
riflessione di Rovelli qui riportata “chiude” la settima ed ultima lezione, e,
ben lungi dall’essere apocalittica – o meglio, lo è nel senso più profondo
della parola –, non fa che riportarci alla bellezza e alla preziosità della
vita umana e del mistero in cui si svolge, in totale unità con ogni aspetto
dell’universo.
“Penso
che la nostra specie non durerà a lungo. Non pare avere la stoffa delle
tartarughe, che hanno continuato ad esistere simili a se stesse per centinaia
di milioni di anni, centinaia di volte di più di quanto siamo esistiti noi. Apparteniamo
a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già tutti e-stinti.
E noi facciamo danni. I cambiamenti climatici e ambientali che abbiamo
innescato sono stati brutali e difficilmente ci risparmieranno. Per la Terra
sarà un piccolo blip irrilevante, ma non credo che noi li passeremo indenni;
tanto più dato che l'opinione pubblica e la politica preferiscono ignorare i
pericoli che stiamo correndo e mettere la testa sotto la sabbia. Siamo forse la
sola specie sulla Terra consapevole dell'inevitabilità della nostra morte
individuale: temo che presto dovremmo diventare anche la specie che vedrà
consapevolmente arrivare la propria fine, o quanto meno la fine della propria
civiltà. Come sappiamo affrontare, più o meno bene, la nostra morte individuale,
così affronteremo il crollo della nostra civiltà. Non è molto diverso. E non
sarà certo la prima civiltà a crollare. I Maya e Creta ci sono già passati.
Nasciamo e moriamo come nascono e muoiono le stelle, sia individualmente che
collettivamente. Questa è la nostra realtà. Per noi, proprio per la sua natura
effimera, la vita è preziosa. Perché, come scrive Lucrezio, “il nostro appetito
di vita è vorace, la nostra sete di vita insaziabile” (De rerum natura, III,
1084). Ma immersi in questa natura che ci ha fatto e che ci porta, non siamo
esseri senza casa, sospesi fra due mondi, parti solo in parte della natura, con
la nostalgia di qualcosa d'altro. No: siamo a casa.
La
natura è la nostra casa e nella natura siamo a casa. Questo mondo strano, variopinto
e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e
le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da
noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa.
Della trama di cui siamo fatti noi stessi. Noi siamo fatti della stessa polvere
di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia
quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non
possiamo che essere: una parte del nostro mondo. Lucrezio lo dice con parole
meravigliose:
...
siamo tutti nati dal seme celeste;
tutti
abbiamo lo stesso padre, da cui la terra, la madre che ci alimenta,
riceve
limpide gocce di pioggia, e quindi produce il luminoso frumento,
e
gli alberi rigogliosi, e la razza umana,
e
le stirpi delle fiere, offrendo i cibi con cui tutti nutrono i corpi,
per
condurre una vita dolce e generare la prole...
(II,
991-997)
Per
natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E
continuiamo a imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci
sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere.
Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del
cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del
nostro stesso pensiero.
Qui,
sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non
sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano
senza fiato”.
Da leggere:
Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Ed. Adelphi
Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare, Ed. Cortina
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Ed. Adelphi