mercoledì 26 aprile 2017

Il Lalitavistarasūtra, ovvero lo Sviluppo dei giochi

Il Lalitavistarasūtra, ovvero lo Sviluppo dei giochi, o anche Sūtra dettagliato dell'attività giocosa o Descrizione dettagliata del gioco (tibetano rGya-cher rol-pa, cinese Puyaojing, giapponese Fuyōkyō), “è un testo intermedio tra quelli dell’Hināyana e quelli del Mahāyāna, a volte presentato come la biografia del Buddha secondo i Sarvāstivādin, a volte come un Mahāyānasūtra. L’originale sanscrito in prosa narra la vita del Buddha dalla sua ultima esistenza fino al primo insegnamento del discorso di Benares. È composto da ventisette capitoli. Il Lalitavistarasūtra è stato tradotto per la prima volta in cinese nel 308 e in tibetano nell’VIII secolo, per mano dello studioso Jinamitra e dal monaco traduttore Yeshe-dé[1].


Quanto al nome del sūtra, esso deriva dal sostantivo femminile sanscrito līlā, che indica rappresentazione o sfoggio di energie in continuo movimento. È tradotto spesso come gioco, ovvero l’atto spontaneo, non intenzionale, della creazione e della distruzione. Ne è personificazione la dea Lalitā, o Mahādevi, la cui forma è l’universo stesso. Līlā è, dal punto di vista filosofico, la manifestazione del Principio Cosmico, il brahman, che si esprime in ogni aspetto del mondo fenomenico [2].

Altre preziose informazioni sul sūtra si possono ricavare dall’Introduzione al II volume de La rivelazione del Buddha, edito da Mondadori:
L’opera, in ventisette capitoli, detti parivarta o adhyāya, di misura ineguale, si autodefinisce un mahānidhana, un grande sūtra sull’inizio della carriera del Buddha, e un purāṇa, una storia antica. Essa contiene passi importanti per lo studio della biografia del Buddha storico, come ad esempio il racconto della prima meditazione di Siddhārtha Gotama quando era ancora bambino, che ricorre anche in altre fonti sanscrite, pali e cinesi. Nei vari racconti viene posta un’attenzione particolare sugli aspetti che potremmo definire psicologici: i personaggi sono inquadrati in un contesto che ne mette in risalto le caratteristiche e dà un senso particolare alle loro scelte. Il lettore viene così interrogato in prima persona e coinvolto nel racconto.
 La stretta somiglianza con alcune scritture in pāli e altri testi in sanscrito, come il Mahāvastu, il Divyāvadāna e il Saṅghabhedavastu fa pensare che alcune parti del Lalitavistara possano basarsi su una fonte comune più antica che abbia poi trovato sviluppo in testi pāli, in altre opere sanscrite e in quest’opera appunto. È probabile che il presente testo del Lalitavistara sia il rimaneggiamento di un testo più vecchio redatto probabilmente nel I o II secolo d.C. Se l'ampliamento in chiave mahāyānica del Lalitavistara rispondesse al vero, si spiegherebbe meglio anche perché in quest’opera si possono ritrovare elementi molto antichi e più recenti, e anche perché compaiono in essa parti diseguali di prosa e versi[3].


Questo importante testo del Buddhismo antico è stato tradotto più volte, per intero o in parte, anche in diverse lingue europee.
In particolare, esistono due diverse traduzioni in francese: una è quella di MM. Pautier e G. Brunet, condotta sulla versione tibetana del sūtra (rGya-cher rol-pa o Rgya tch’er Rol pa), e che risale al 1866 [4]; l’altra è opera di P.E. de Foucaux, che tradusse l’originale sanscrito nel 1883 [5].
Per quanto riguarda la lingua italiana, il volume sopra citato, La rivelazione del Buddha, contiene la traduzione dal testo sanscrito del capitolo 25 del Lalitavistara, a cura di F. Sferra [6].
Non mi risulta invece che esista a tutt’oggi una versione in italiano dell’intero sūtra [7], per cui mi accingo, con consapevole presunzione ma con grande rispetto, a tradurre dal francese l’edizione di P.E. de Foucaux, pubblicando il testo, capitolo dopo capitolo (ventisette in tutto), in una apposita pagina del blog che sarà progressivamente implementata. Il sūtra sarà preceduto dalla traduzione dell’Introduzione dello stesso P.E. de Foucaux e delle relative note.
Va da sé che si tratterà di una traduzione per un uso del tutto personale, senza pretese di scientificità, basata su una conoscenza scolastica ed approssimativa della lingua francese e del Buddhismo stesso, con la sola speranza che gli errori (e gli orrori) che vi si troveranno servano di stimolo per serie traduzioni italiane da parte di persone veramente competenti.
Per quanto concerne i nomi di persona, dei luoghi, delle opere eccetera, mi atterrò al seguente criterio: laddove possibile, userò le trascrizioni riportate nel Dizionario del Buddhismo di Ph. Cornu, nel Dizionario buddhista di Ch. Humphreis o nel Dizionario dell’Induismo di M. e J. Stutley. Negli altri casi riporterò trascrizioni da altre fonti che verranno citate, oppure, se il nome non sarà per me riconoscibile, lascerò la versione del testo francese. Mi servirò, laddove necessario e se possibile, anche della traduzione francese della versione tibetana sopra citata.
Le mie eventuali note saranno apposte al termine di ogni capitolo, precedute dalla sigla ndt.
Saranno naturalmente gradite tutte le critiche, i pareri e i suggerimenti e le segnalazioni che perverranno.


Note
1 - Ph. Cornu, Dizionario del Buddhismo, Ed. Bruno Mondadori, pag. 318
2 - Si veda M. Stutley – J. Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini, pag. 236-237
3 - C. Cicuzza – F. Sferra, Introduzione ai testi tradotti, in: R. Gnoli (a cura di), La rivelazione del Buddha – Vol. II – Il Grande Veicolo, Ed. Mondadori – I Meridiani, pag. CXI - CXII
4 - G. Rachet (a cura di), Lalitāvistara – Vie et doctrine du Bouddha tibétain, Ed. Sand 1996
5 - P.E. de Foucaux (trad. di), Lalitavistara – L’histoire traditionnelle de la vie du Bouddha Çakyamuni, Ed. Les Deux Océans 1988  
6 - F. Sferra (trad. di), La supplica, in: R. Gnoli (a cura di), La rivelazione del Buddha, pag. 159 e segg.
7 - Il volume di M. Epstein La lezione della serenità, Ed. Vallardi, riporta a pagina 90 un passo tratto dal Lalitavistara dove si parla della morte di Mayadevī, madre di Siddhārtha, e alla nota 3 la citazione viene attribuita al testo “Lalitavistara, UTET, Torino, 1988”. Ma UTET non ha nel suo catalogo una traduzione del sūtra (si veda http://www.utetgrandiopere.it), e il testo del Lalitavistara non è compreso nei due volumi dedicati al Canone buddhista né in quello sui testi buddhisti in sanscrito, almeno nelle edizioni in possesso di chi scrive. Non si comprende quindi a quale versione italiana si riferisca la nota del volume di Epstein.