Un nuovo libro sul buddhismo. Ne è autore Hervé Clerc, un non-specialista – e, in
questo caso, il fatto depone a suo favore. Un giornalista francese di 66 anni,
al suo primo libro. Qui di seguito la 4^ di copertina:
Questo
è un libro che l’autore non poteva non scrivere, e che si è portato dentro per
quattro decenni. Perché fu più di quarant’anni fa che, reduce dai fervori e dai
clamori del maggio '68, Hervé Clerc ebbe “un’esperienza incommensurabile
rispetto a tutte quelle che avrebbe poi fatto nella sua vita e, ovviamente, a
quelle fatte in precedenza”: scoprì il buddhismo nella sua essenza - nudo,
immobile, vuoto. Allora non sapeva che cosa fosse. Oggi, riprendendo il filo
della propria biografia, riesce a renderci partecipi di un insegnamento plurimillenario,
e nella forma più semplice e spoglia possibile, scardinando cliché, tic
accademici, gerghi, mode. Il tutto in un parlato ricco e saporoso, che invoglia
alla lettura.
Al suo interno, già nelle prime pagine, alcune
osservazioni che riscaldano il cuore – e dovrebbero schiarire la mente,
soprattutto ai praticanti del sole calante:
Quando
alla televisione vedo dei buddhisti occidentali vestiti con gli abiti gialli e
rossi dei monaci tibetani rimango perplesso. Mi dico: c’è un malinteso, siamo
nel paese di Montaigne, Molière, Descartes, delle trecentosessantacinque
varietà di formaggi, dell’amor cortese, dei grandi vini, dove deve pur
esistere un'altra maniera, meno esotica, meno clericale soprattutto, di
presentare il buddhismo. Se continuiamo in questo modo, un insegnamento così
degno di essere conosciuto e così benefico verrà percepito dalla maggior parte
della gente come un innesto estraneo e relegato, accanto agli extraterrestri,
agli iperborei, ai millenaristi e alla meditazione trascendentale, nel
cassetto “New Age”, che le persone assennate evitano con cura di aprire. Non
faranno la selezione. Pochi si prenderanno la briga di farla. Un’occasione di
riconoscimento e di dialogo sarà andata perduta. Per presentare il buddhismo
agli occidentali è necessario un lavoro di adattamento.
Parole
assolutamente condivisibili, anche per l’Italia, basta sostituire Montaigne e
Molière con Vico, Croce e Goldoni, i formaggi con la pasta e lasciare l’amor
cortese e i vini…
L’alternativa:
continuare a dare del “buddhismo” l’immagine di un qualcosa di molto
pittoresco, come il Festival dell’Oriente o il ristorante fusion o il capodanno cinese di Via Paolo Sarpi. Ma che non ha
nulla a che vedere con noi. Ovvero: scavare la fossa al Buddhadharma. O allo
Yoga. O allo Zen ecc.
Uccidere
e Occidente non hanno la stessa etimologia. Il loro suono è però sinistramente
simile. E fino ad ora l’occidente ha dimostrato molto bene di saper assorbire
ed annichilire ciò con cui è venuto a contatto, dopo averlo fatto con il suo
passato.
Da leggere:
Hervé Clerc, Le cose come sono, Ed. Adelphi