venerdì 9 novembre 2012

UNISABAZIA 2011/12 - Bhavachakra, la Ruota dell'Esistenza

Bhavachakra, la Ruota dell’Esistenza


Mandala e Yantra

Un elemento di grande importanza nelle pratiche delle scuole tantriche (induiste e buddhiste) è il mandala, termine che significa alla lettera “cerchio”, ma che può essere inteso più precisamente come “contenuto interiore” (manda) circondato da ciò che lo racchiude (la).
Un mandala
I mandala sono infatti dei diagrammi circolari, con schemi anche molto complessi e diversificati, che si possono ritrovare, con analoghe funzioni rituali, presso altre tradizioni, ad esempio i nativi nord-americani.

In genere sono dipinti su carta, legno, pelle, pietra, o tracciati con sabbie colorate su supporti di vario tipo, quali il legno o il terreno stesso. Vengono utilizzati nelle ritualità, e come supporti visivi per la meditazione.
La loro struttura consiste fondamentalmente in uno o più bordi circolari che racchiudono un quadrato suddiviso in triangoli. Al centro dei triangoli e del mandala si trovano altri cerchi con le immagini delle divinità o con i loro simboli (ad es. lettere dell’alfabeto sanscrito).
Il tipo più semplice di mandala è lo yantra (da yam = mantenere, trattenere + tra = strumento): un diagramma costituito da triangoli in mezzo a cerchi concentrici all’interno di un quadrato con quattro porte. I triangoli con la punta in basso rappresentano la polarità femminile, gli altri quella maschile. Il centro è il brahman, l’indifferenziato, il non-manifesto.
Sri Yantra

Mandala e yantra sono quindi rappresentazioni dell’Universo e della sua manifestazione, dal non differenziato (il centro) alla molteplicità dei fenomeni (l’esterno).
Dal punto di vista buddhista, il mandala è ciò che consente al praticante di accedere al centro della percezione dei fenomeni, ovvero alla mente di saggezza.
La distinzione tra percezione ordinaria degli oggetti e percezione pura è dovuta alle impurità karmiche, ma in realtà l’essenza delle percezioni ordinarie è essa stessa pura. Il mandala è il mezzo che permette la comprensione di tale identità, ovvero la comprensione della vacuità: samsara = nirvana.
È inoltre possibile trovare somiglianze strutturali e funzionali tra il mandala ed il labirinto. Il labirinto rappresenta infatti una “discesa agli inferi”, una sorta di “morte iniziatica” seguita da una “resurrezione” dell’adepto, interiormente rinnovato, purificato. È ciò che avviene al praticante tantrico, che penetra nel mandala, fino a pervenire al centro, che è il centro del mondo, attraversato perpendicolarmente dall’axis mundi (un punto, se osservato dall’alto). Non a caso il labirinto ricorda da vicino la struttura anatomica del cervello umano (e dell’intestino, al quale il cervello stesso è strettamente correlato).
Il labirinto di Chartres
Tutto questo corrisponde alle strutture architettoniche dei templi hindu o degli stupa buddhisti, i quali, in una visione aerea, costituiscono delle immagini mandaliche. Così come una chiesa cattolica costruita secondo i criteri tradizionali, non quelli dell’architettura “moderna”, è una croce in tre dimensioni, al cui centro è posto l’altare, il luogo del sacrificio, sovrastato dalla volta celeste della cupola.
Ugualmente, come si è detto che nelle culture tradizionali macrocosmo e microcosmo si riflettono l’uno nell’altro, così il mandala “esterno” si trasferisce nel mandala “interno”, il corpo, appunto, nel quale si ritrovano i corrispondenti simboli. Infatti, se si ripensa alle immagini dei centri di energia (chakra) presenti nel corpo sotto forma di loto, e li si visualizza dall’alto, ponendo al centro il canale che attraversa tutto il corpo accanto alla colonna vertebrale (sushumna nadi), ciò che appare è proprio una struttura mandalica, il cui centro corrisponde al brahmarandhra, la cavità all’apice della testa (la c.d. “fontanella”), dove si apre proprio sushumna nadi.
Non a caso, uno dei maggiori studiosi dell’Oriente, Giuseppe Tucci (1894-1984), ha definito il mandala come “psico-cosmo-gramma”, ovvero l’intero Universo nel suo schema essenziale, nel suo processo di emanazione e di riassorbimento, portato al centro della coscienza umana per ritrovarvi l’unità originaria della coscienza stessa e riscoprire il principio ideale delle cose.
Ed un altro studioso dei mandala fu lo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), uno dei padri della psicoanalisi, il quale li analizzò in quanto strutture degli stati più profondi della psiche umana. Egli notò inoltre che molto spesso nei sogni e nei disegni spontanei dei suoi pazienti comparivano immagini mandaliche, che corrispondevano a momenti particolarmente significativi, in senso positivo, dei percorsi psichici di guarigione che stavano seguendo.

La Ruota dell’Esistenza

Il bhavachakra (la “ruota dell’esistenza”) è una classica rappresentazione buddhista, in forma di immagine mandalica, del samsara, cioè dell’esistenza ciclica degli esseri senzienti, condizionata dall’ignoranza e quindi permeata di sofferenza e frustrazione a diversi livelli di intensità, a seconda del karma di ognuno. In altri termini, il bhavachakra è l’immagine del mondo del divenire, nel quale gli esseri sono immersi da un tempo senza inizio e nel quale costantemente ritornano, sotto diverse forme.
Nella tradizione induista, Bhava è una delle quattro manifestazioni pacifiche del dio vedico Rudra (“il Rosso), signore delle tempeste e della pioggia, colui che assicura la fecondità dei campi, e che sarà poi assimilato a Shiva. Forse Bhava era già presente nella religiosità dell’India pre-vedica, come signore del bestiame. È possessore dell’aria, del cielo e della terra, ed è l’essenza della vita stessa.
Nel buddhismo, bhava è invece un termine tecnico che indica il divenire, il flusso incessante dei fenomeni.
Il Bhavachakra
Chakra è la ruota. La ruota del carro, ed anche uno dei simboli più diffusi nella cultura indiana, simbolo solare per eccellenza, principio del Tempo ciclico, presente anche al centro dell’attuale bandiera della Repubblica Indiana. Il chakra era anche un’arma usata nell’antica India: si trattava di un disco in acciaio, con i bordi affilati e un foro al centro, che veniva scagliata con forza e con micidiali effetti contro l’avversario. La si ritrova spesso nell’iconografia del dio Vishnu.
Secondo la tradizione, l’immagine del bhavachakra si ispira ad una visione di Maudgalyayana, un discepolo del Buddha noto proprio per le sue visioni. Essa è presente nella maggior parte dei monasteri buddhisti di tradizione tibetana (Tibet, Ladakh, Mongolia, Nepal, Bhutan) ed ha la funzione di richiamare alla mente la reale natura dell’esistenza. Infatti in genere è posta all’entrata dei templi, e rappresenta il passaggio del fedele attraverso l’esistenza nel samsara e l’ingresso nel cammino verso la liberazione. Proprio come nelle cattedrali gotiche le immagini scolpite di esseri infernali, poste all’esterno, ammonivano i fedeli ricordando loro che solo all’interno della Chiesa (come edificio, ma soprattutto come istituzione) potevano trovare la salvezza. In alcune tradizioni buddhiste il bhavachakra è utilizzato anche come supporto visivo per la meditazione.

Descrizione

In alto a destra, all’esterno della ruota, compare l’immagine del Buddha, che indica con la mano destra la luna piena, per ricordare la notte di plenilunio durante la quale, nel maggio del 528 a.C. (data convenzionale), conseguì dopo sei anni di ricerca interiore la liberazione dall’esistenza ciclica. La luna piena è essa stessa simbolo del Risveglio del Buddha.
La ruota è invece saldamente tenuta tra i denti e gli artigli di Yama (il “Trattenitore”, nella tradizione hindu simbolo della morte e giudice dei defunti), o, secondo altre versioni, di Mara (la Morte, dalla radice sanscrita mri, morire), colui che aveva cercato di distogliere Siddharta dalla sua ricerca, proponendogli ricchezze materiali e potere mondano.
Al centro della ruota, nel mozzo, si trovano tre animali, in qualche modo uniti tra loro: un maiale, simbolo dell’ignoranza; un gallo (l’avversione); un serpente (il desiderio). Sono i tre “veleni”, ovvero le forze che legano gli esseri all’esistenza ciclica. In particolare, origine di tutte le sofferenze è l’ignoranza (a-vidya, il non-vedere), la quale non ha il significato ordinario di incompetenza, di mancanza di istruzione. Qui, ignoranza è l’offuscamento mentale che impedisce all’uomo di comprendere la vera natura delle cose (e di se stesso), cioè la mancanza di esistenza intrinseca (la vacuità) di tutti i fenomeni, fisici e mentali.
Nel primo cerchio, alcuni esseri salgono verso l’alto, altri scendono verso il basso: è la rappresentazione del karma, favorevole o sfavorevole, che, a causa delle scelte operate dagli esseri stessi durante le loro esistenze, li trascina verso rinascite positive o negative. In questo esempio di bhavachakra, gli esseri rappresentati nel settore bianco (karma positivo) sono un uomo, un asura (titani) e un deva (divinità). Nel settore nero (karma negativo) si riconoscono un animale, uno “spirito famelico” e un essere infernale.
I 12 anelli della produzione condizionata e i 6 regni
Nel cerchio più esterno, sono raffigurati i dodici anelli (nidana) della produzione condizionata, ovvero una approfondita  rappresentazione degli insegnamenti buddhisti sull’interdipendenza. È la catena di causa-effetto che costituisce il meccanismo dell’esistenza nel samsara. Ogni fenomeno è condizionato, e a sua volta condiziona l’originazione di nuovi fenomeni. I fenomeni non sono quindi opera di un Creatore, ma tutti derivano da cause e condizioni specifiche. “Poiché vi è questo, quello viene ad esistere”.
Ogni fattore (anello) è relativo, non assoluto, né indipendente. Ognuno esiste in quanto esistono gli altri, ed ognuno è condizionato dagli altri e li condiziona. L’interdipendenza di causa-effetto ha cinque caratteristiche:
1) i fenomeni sono impermanenti (il germoglio nasce solo dopo che il seme non c’è più)
2) i fenomeni sono ininterrotti (non c’è interruzione tra morte del seme e nascita del germoglio, come il movimento dei piatti della bilancia)
3) un anello non si trasforma nell’altro (seme e germoglio sono due fenomeni distinti)
4) una piccola causa può produrre un grande effetto (seme è albero)
5) causa ed effetto hanno una continuità seriale (seme di riso è germoglio di riso, non di grano).
Si procede qui ad una semplice elencazione dei fattori rappresentati nelle singole maglie della catena (a partire dalla prima in alto, come si fa tradizionalmente) non essendo possibile una loro analisi particolareggiata, ricordando ancora una volta come ognuna sia effetto della precedente e causa della successiva, non potendo esistere separatamente dalle altre:
1) l’ignoranza (della vera natura dell’esistenza)
2) le formazioni karmiche (l’impulso all’azione sotto la spinta del karma passato)
3) la coscienza (la conoscenza influenzata dai condizionamenti karmici)
4) il nome e la forma (l’ambito psichico e fisico necessario alla coscienza per una nuova esistenza)
5) le sorgenti dei sei sensi (vista, ecc. + intelletto)
6) il contatto (oggetto dei sensi + organo sensoriale + coscienza sensoriale)
7) la sensazione (la risposta al contatto: sensazione piacevole, spiacevole o indifferente)
8) la sete, il desiderio avido (la sensazione di mancanza che spinge a ripetere l’esperienza)
9) l’attaccamento (l’impadronirsi dell’oggetto desiderato)
10) il divenire, l’esistenza (l’attaccamento all’esistenza produce una nuova situazione di esistenza)
11) la nascita (o ri-nascita, condizionata dal karma precedente)
12) la vecchiaia-e-morte.
Ritornando all’interno del cerchio, si trova il secondo anello, diviso in sei sezioni, nelle quali sono rappresentati i sei “regni” o “destini”, ovvero le sei condizioni principali dell’esistenza condizionata. Esse, si noti bene, non sono “luoghi” dello spazio, bensì sono il frutto della percezione degli esseri senzienti e quindi il prodotto del loro karma (cioè delle loro stesse azioni), che condiziona tale percezione. Si parla dunque di esseri che passano indefinitamente dall’uno all’altro dei sei “destini”. Tre di essi sono considerati favorevoli:
- la nascita umana, la più auspicabile, che viene detta “preziosa”, in quanto in essa c’è abbastanza sofferenza per suscitare il desiderio della liberazione, ma non troppa da impedire ogni tipo di riflessione o di scelta;
- gli asura (titani, o dèi gelosi), che vivono alla radice dell’albero che esaudisce tutti i desideri, del quale però, pur conducendo una vita gradevole, non gustano i frutti, in quanto le fronde si trovano nel regno superiore,
- il regno degli dèi (deva), suddivisi a loro volta in 27 gruppi. Tra essi, alcuni (dèi del regno del desiderio) possiedono un corpo, altri (regno della forma pura) hanno una forma corporea “sottile”, altri ancora (regno senza forma) sono pure coscienze. Tutti godono di vite lunghissime, ma non illimitate, e possono ricadere in “destini” inferiori una volta esaurito il karma che li aveva portati a rinascere nei regni divini.
Come si è visto, si ritrovano qui gli esseri descritti nel settore bianco del primo anello. Gli esseri del settore nero, che scendono verso il basso, si trovano invece negli altri tre “destini”, detti sfavorevoli o sfortunati, nei quali troppo grande è la sofferenza per permettere la riflessione sulla loro condizione e le conseguenti scelte per liberarsi (è ciò che avviene, per il motivo opposto, agli dèi e agli asura).
Uno dei destini sfavorevoli è il regno degli animali, i quali conducono una vita inquieta, presi tra la necessità di cibarsi e di riprodursi e la paura di essere uccisi da altri animali. O di essere maltrattati, sfruttati o uccisi dall’uomo, per nutrimento o per gioco.
La rinascita nel regno degli spiriti avidi o famelici (preta, in sanscrito) avviene a causa dell’avarizia e dell’avidità. Essi sono considerati meno ottusi (cioè incapaci di comprendere il Dharma) degli animali, ma le loro sofferenze sono superiori. Hanno grandi corpi sproporzionati, con enormi teste, ma braccia, gambe e collo sottili. Soffrono continuamente il caldo e il freddo, la fame e la sete; perfino la luce della luna li ustiona, oppure i raggi del sole li fanno rabbrividire per il freddo. Alcuni scorgono acqua e cibo, ma quando li raggiungono tali beni svaniscono. Altri trovano il cibo, ma esso non passa attraverso la bocca, sottile come uno spillo, o la gola, piena di nodi. Oppure il cibo inghiottito si trasforma in metallo rovente, o nella carne del loro stesso corpo, o in siero. A causa della fame, spesso emettono dalla bocca lingue di fuoco (i c.d. “fuochi fatui”).
Il regno degli inferni

Il sesto destino è quello degli inferni, causato essenzialmente da collera, odio, violenza. Gli inferni si suddividono in 8 inferni caldi, 4 o 5 inferni periferici, 8 inferni freddi e alcuni inferni temporanei.
Gli inferni caldi sono:
1) inferno delle continue resurrezioni, in cui gli esseri, spinti dall’odio, si fanno a pezzi tra loro, dopodiché si ricompongono e ricominciano a lottare;
2) i. della linea nera, nel quale gli abitanti vengono distesi su ferro rovente, incisi con fruste di metallo e tagliati lungo le linee nere delle incisioni dai guardiani infernali;
3) i. dello schiacciamento, nel quale si sperimenta la sofferenza dell’essere frantumati da morse, da macine, da montagne che si avvicinano tra loro;
4) i. del lamento, in cui si è bruciati dal fuoco in una casa priva di aperture;
5) i. del grande lamento, dove la stessa sofferenza è ancora più intensa (vi sono due stanze, e si pensa quindi di poter fuggire). Sono gli inferni dei bevitori di alcol e di coloro che forniscono tali bevande;
6) i. più caldo, dove si è impalati da aste incandescenti o si è immersi in calderoni di metallo fuso;
7) i. ancora più caldo, dove il calore è doppiamente intenso.
8) i. del tormento incessante, nel quale la sofferenza è assolutamente priva di sollievo e non conosce pause. Non vi è differenza, tanto è il calore, tra i corpi degli esseri e il fuoco che li brucia.
Negli inferni periferici (il fossato di brace, la palude dei cadaveri putrefatti, la pianura dei rasoi, il fiume senza guado, la foresta di foglie come spade) le sofferenze sono un po’ meno insopportabili. Vi si accede quando il karma di un essere rinato negli inferni caldi si attenua, o vi si giunge direttamente.
È detto nel testo che descrive gli inferni (si tratta di una raccolta di antichi insegnamenti del Lam Rim, il “sentiero graduale per l’illuminazione”, utilizzato dai praticanti del buddhismo tibetano): “Se ora non sopportiamo neppure la sofferenza della puntura di uno spillo o del calore della fiamma di una candela, come potremo sopportare le terribili esperienze che dovremo affrontare nei reami infernali?”. Quindi è necessario, qui ed ora, “fare tutto il possibile per rendere significativo il tempo che ci rimane da vivere (..) per evitare la rinascita nei reami inferiori”.
Analogamente, negli inferni freddi si sperimentano sofferenze di intensità crescente: il gelo provoca vesciche sul corpo, che si aprono e diventano piaghe. I corpi, essendo congelati, possono solo tremare, emettere lamenti o battere i denti. Nel sesto inferno, il Loto Blu, il corpo gelato si spacca e assume la forma del loto. Nell’inferno del Loto Rosso i corpi fatti a pezzi dal gelo si incastonano nel ghiaccio e lì vengono tormentati da sciami di insetti velenosi o da malattie. Infatti anche le più piccole parti dei corpi sono ancora collegate psichicamente alla coscienza degli esseri, che continuano quindi a provare dolore.
Infine, negli inferni temporanei, le sofferenze sono legate alla identificazione del corpo con un oggetto e all’uso che di tale oggetto viene fatto. Ad esempio, un essere era fatto a forma di mortaio in quanto, quando era monaco, quindi in forma umana, era andato in collera con un novizio e gli aveva detto che avrebbe voluto pestarlo in un mortaio…
Afferma ancora il Lama Pabonka Rimpoce (1878-1941), autore del testo e maestro dei tutori dell’attuale Dalai Lama: “Anche noi abbiamo già compiuto un numero infinito di azioni che causano la rinascita in simili condizioni, e inoltre insistiamo tuttora a compierle. Per cui dovremmo riflettere ripetutamente sui vari tipi di sofferenze che dovremo sperimentare in questi luoghi”.
Scopo di queste meditazioni, non è evidentemente quello di terrorizzare il praticante, costringendolo con la paura ad assumere comportamenti “morali” o ad aderire ad una ideologia o ad una struttura di potere politico/religioso, quanto piuttosto di far comprendere che non si tratta di “vicende di terre lontane” o di “fatti che non ci riguardano personalmente”. Meditare sui sei regni, sull’interdipendenza, sui tre veleni ecc., significa imparare ad apprezzare pienamente il significato dell’essere nati in forma umana e conseguentemente dare una direzione alla propria vita, per non sprecare il (poco) tempo che si ha a disposizione.
Ha detto Lama Tzong Khapa (1357-1419):

La preziosa rinascita umana è difficile da ottenere
e non dura a lungo. Riflettendo su tutto ciò
smettete di pensare unicamente a questa vita
”.


Testi

Cornu, Dizionario del Buddhismo, Ed. Bruno Mondadori
Humphreys, Dizionario buddhista, Ed. Ubaldini
AA.VV., Dizionario delle Religioni Orientali, Ed. Vallardi
Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini
Shumann, Immagini buddhiste, Ed. Mediterranee
Eliade, Lo Yoga – Immortalità e libertà, Ed. Sansoni
Tucci, Teoria e pratica del mandala, Ed. Ubaldini
Jung, La saggezza orientale Ed. Boringhieri
Pabonka Rimpoce, La liberazione nel palmo della tua mano, Ed. Chiara Luce

m. mauro tonko, 2012

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