giovedì 25 luglio 2013

Sherlock Holmes, un buddhista a sua insaputa

Nel racconto “L’ultima avventura”, ambientato nel 1891, Sir Arthur Conan Doyle narra la morte di Sherlock Holmes, il più famoso detective della storia, precipitato nella cascate del Reichenbach, nelle Alpi Svizzere, insieme con Moriarty, il suo acerrimo nemico.

In un successivo racconto, “L’avventura della casa vuota”, ambientato nel 1894, Conan Doyle, su pressione degli editori e dei numerosi lettori, fa riapparire Sherlock Holmes, il cui corpo in effetti non era mai stato ritrovato…



Ma cosa aveva fatto il detective negli anni tra il 1891 e il 1894? Lo racconta lui stesso al suo fedele compagno Watson, proprio nella "Avventura della casa vuota": “Per due anni (…) viaggiai nel Tibet, mi divertii a visitare Lhassa e trascorsi qualche giorno con il Dalai Lama. Forse avrà avuto occasione di leggere le interessanti esplorazioni condotte da un norvegese, un certo Sigerson, ma sono sicuro che non le è mai passato per la mente che, così facendo, lei aveva notizie del suo amico”. 

Due anni in Tibet, quindi, tra i monaci buddhisti e addirittura alla corte del Dalai Lama. Si trattava ovviamente del Grande Tredicesimo Thubten Gyatso, il quale aveva allora circa 16 anni. Ma dalle parole di Holmes nient’altro si seppe mai a proposito del suo viaggio.

Il “vuoto” è stato successivamente colmato da uno scrittore tibetano, Jamyang Norbu (nt. 1944), il quale ha anche ricoperto alcuni incarichi nel governo tibetano in esilio ed è autore di saggi e testi teatrali. In un suo geniale romanzo, “IL MANDALA DI SHERLOCK HOLMES”, l’A. racconta, con un linguaggio che riporta immediatamente ai “classici” di Conan Doyle, di essere venuto in possesso di un manoscritto ritrovato a Darjeeling: si tratta proprio del dettagliato resoconto del viaggio di Holmes in Tibet!

Il mandala di Kalachakra di cui si parla nel romanzo
Autore del manoscritto è Hurree Chunder Mookerjee (Hurree babu), il famoso agente bengalese al servizio degli Inglesi, ovvero uno dei protagonisti di un altro grande romanzo: “Kim” di Rudyard Kipling, uno dei migliori testi per comprendere il “Grande Gioco” che le maggiori potenze mondiali giocarono, e tuttora giocano, per il controllo strategico delle vie di collegamento tra Oriente ed Occidente.


Un sapiente gioco di scatole cinesi, quindi, finzioni letterarie che si connettono tra loro fino a creare una (in)credibile e godibile sensazione di realtà!


Nel romanzo di Jamyang Norbu, le strade di Holmes e di Hurree babu, una sorta di Dottor Watson d’Oriente, si incontrano, in un intreccio che si dipana lentamente tra Bombay, Simla, i passi himalayani, il Tibet e i suoi monasteri, in un complesso gioco politico che coinvolge gli inglesi, i cinesi, il reggente tibetano, il giovane Dalai Lama. Fino a svelare chi veramente fosse Sherlock Holmes prima di essere Sherlock Holmes, e chi veramente fosse Moriarty, il suo mortale avversario.

Ed infine, con un tocco quasi commovente per chi ama la figura del grande detective e i magici silenzi himalayani, Jamyang Norbu racconta di aver incontrato nel 1989 a Dharamsala alcuni anziani monaci fuggiti dal Tibet, i quali non solo gli confermano di aver sentito parlare di un inglese che molti anni prima era stato a Lhasa, ma addirittura gli mostrano “una cassetta di latta dall’aria piuttosto decrepita (…). Dentro, vicino ad alcuni oggetti di carattere religioso, c’erano una lente di ingrandimento scheggiata e una vecchia, malconcia, pipa di ciliegio”. Di fronte al suo stupore, il vecchio abate lo invita ad applicare una vecchia massima, secondo cui “quando si è escluso l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile sembri, dev’essere la verità”, quindi comincia “a ridere piano, in un modo particolare, senza far rumore”.
Basil Rathbone nei panni di Sherlock Holmes

Testi citati:

Jamyang Norbu, Il mandala di Sherlock Holmes, Instar Libri, 2002
Arthur Conan Doyle, Tutto Sherlock Holmes, Grandi Tascabili Economici Newton, 2002
Rudyard Kipling, Kim, Adelphi, 2003


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