giovedì 8 novembre 2012

UNISABAZIA 2011/12 - Ganesh dalla pancia grassa

Ganesh dalla pancia grassa

Uno degli otto dharmapala (“difensori del Dharma”), figure dall’aspetto infuriato che hanno il compito di terrorizzare i nemici del buddhismo, è Mahakala, il “Grande Nero”, patrono della Mongolia, versione buddhista-tibetana del dio Shiva. Nella sua funzione di difensore della saggezza, Mahakala è raffigurato in piedi, a gambe divaricate verso destra, mentre calpesta una figura umana con la testa di elefante, ovvero il dio hindu Ganesh.

Mahakala
L’immagine rappresenta, ovviamente dal punto di vista della tradizione hindu, la superiorità della sapienza induista nei confronti di quella buddhista. Infatti, Ganesh tiene nelle mani una carota (simbolo della sua ingordigia) ed una calotta cranica (simbolo della sapienza).

La storia

Tra le divinità del pantheon induista, Ganesh è certamente una delle più amate e venerate, sia nella devozione popolare, sia tra gli eruditi filosofi, sia tra gli asceti che praticano le diverse forme dello yoga e del tantra.
Storicamente, l’origine del culto del dio dal corpo umano e dalla testa di elefante si perde nella notte dei tempi. In Iran è stata trovata una placca metallica, databile tra il 1200 e il 1000 a.C., con l’immagine di un guerriero dalla testa di elefante che tiene nelle mani una spada e uno stilo per scrivere. Ai suoi piedi un tridente e un serpente. Tutti elementi che ritroveremo nell’iconografia legata a Ganesh. Era proprio quella, probabilmente, l’epoca in cui si svolse la grande guerra tra i Pandava e i Kaurava che verrà poi narrata nel Mahabharata, il maggior poema epico dell’India (e il più lungo della storia umana, pari a 7 volte l’Iliade e l’Odissea messe insieme). E Ganesh è considerato lo scriba del poema, dettatogli dal suo mitico autore, Vyasa (= il “sistematore”). Il Mahabharata in realtà fu composto nel corso di un lungo periodo, tra il IV sec. a.C. e il IV sec. d.C., ma secondo il mito il saggio Vyasa, che aveva già in mente tutto il poema, chiese a Ganesh di scriverlo sotto dettatura.

Vyasa e Ganesh
Ganesh accettò, a condizione che Vyasa non facesse nessuna pausa. Come controproposta, Vyasa obbligò Ganesh a considerare, prima di scrivere un verso, tutte le implicazioni del precedente. In effetti, i significati dei versi del Mahabharata sono così vasti e profondi che Ganesh era continuamente costretto a fermarsi per riflettere, e Vyasa aveva il tempo necessario per comporre i versi successivi. Fu per questo che Ganesh, il cui culto ha evidenti origini nell’antica società contadina, che attribuiva ruoli fondamentali agli animali nella propria religiosità (l’elefante, la scimmia, gli uccelli, i serpenti...), divenne anche il protettore dei poeti e degli intellettuali in genere. Ancora oggi molte opere letterarie iniziano con un’invocazione a Ganesh, e spesso il suo nome compare nell’intestazione di lettere personali e commerciali.
La storia del culto di Ganesh ci dice quindi che la sua origine va posta nel mondo agricolo dell’India pre-vedica, nel quale l’elefante, creatura possente e (relativamente) mansueta, svolgeva un ruolo fondamentale, sia dal punto di vista materiale che da quello simbolico. In quell’ambito, l’elefante compare spesso associato ai culti delle Dee Madri, ed era quindi probabilmente un dio della fertilità.
All’epoca del Buddha, nel VI sec. a.C., era già considerato un dio molto antico. Nell’iconografia indiana, così come lo si può vedere oggi, comparve invece tardivamente, intorno al IV sec. d.C.

Il mito

Il mito di Ganesh è invece narrato per esteso, ed in più versioni anche diverse tra loro, nei Purana, le grandi raccolte di testi antichi costantemente rielaborate nel corso dei secoli, fino alle redazioni dell’epoca Gupta (III sec. d.C.). Nel Ganesh Purana, Ganesh è considerato come il Dio Assoluto, cui anche Brahma e Shiva devono obbedienza: questo rende evidente che il culto del dio-elefante ha preceduto la formazione dell’induismo moderno, dal quale è stato assorbito. Per i filosofi hindu, Ganesh rappresenta l’OM, la vibrazione che ha dato origine alla manifestazione dell’Universo e di cui il suono OM è l’espressione sensibile.


La danza cosmica di Ganesh
Secondo i Purana, Ganesh è figlio di Shiva e Parvati. La sua origine risiede nel desiderio di Parvati di avere un figlio, al quale Shiva costantemente si oppone. Infatti per Shiva una moglie era “un grande impedimento per uno libero dalle passioni”, ed un figlio era “laccio e steccato”. Shiva, si rammenti, è il Signore dello Yoga, il dio degli asceti (non si può non pensare al fatto che il figlio di Siddhartha Shakyamuni, il futuro Buddha, si chiamava Rahula, “nodo astrale” ma anche “legame”). In seguito alle insistenti richieste di Parvati, Shiva un giorno le strappò le vesti, ne fece un bambolotto e glielo diede. Parvati lo accostò al seno, ed il pupazzo prese vita, diventando un bambino. Shiva lo esaminò con attenzione, ma notò in lui un segno infausto: “Questo figlio – disse – è nato sotto i cattivi auspici del Pianeta dei suicidi (per gli occidentali, Saturno) e non vivrà a lungo”. Appena ebbe parlato, la testa del bambino si staccò dal corpo. Di fronte al dolore di Parvati per la perdita del figlio, Shiva si commosse ed affidò al suo servitore, Nandin (il toro, suo veicolo), il compito di trovare un’altra testa. Dopo lunghe peripezie e combattimenti, Nandin tornò con la testa di Airavata, l’elefante veicolo del dio Indra. Shiva la pose sul corpo del bambino, che tornò a vivere. Gli venne quindi attribuito il nome di Ganesh, il “Signore delle schiere” (gana, gli accompagnatori) degli dèi.
Secondo un altro mito, Ganesh fu creato da Parvati, con la pelle staccatasi dal suo corpo durante il bagno (o con gli oli da lei usati nell’occasione). Ella lo pose all’ingresso del bagno, affinché nessuno potesse guardarla. Quando giunse Shiva, suo compagno, Ganesh gli impedì il passaggio, e Shiva, adirato, gli staccò la testa. Parvati minacciò di distruggere il mondo, e Shiva si fece allora portare dai suoi aiutanti la testa del primo essere che avessero trovato rivolto verso nord. E i gana trovarono un elefante... E dei gana Ganesh è appunto il Conduttore (Ganapati).
Altrove, è detto che Ganesh fu generato dalla mente di Shiva come un bellissimo giovane. E Parvati, gelosa della sua bellezza, gli trasformò la testa in quella di un elefante. Per poi amarlo ancora di più…
È comunque degno di nota che in tutti i miti relativi alla nascita di Ganesh la sua origine è legata alle azioni del solo Shiva o della sola Parvati, e non alla loro unione.
Ganesh è anche chiamato Ekadantaka, “Colui che ha una sola zanna”: l’altra si spezzò infatti nella lotta tra Nandin e Airavata. Secondo un altro mito, Ganesh la perse a causa di un colpo di scure infertogli da Parashurama (che aveva ricevuto la scure proprio da Shiva), al quale voleva impedire di entrare nelle stanze del padre. In un altro racconto, la luna ed alcune stelle si erano messe a ridere, avendo visto che la grossa pancia di Ganesh era scoppiata per i dolci che aveva mangiato. Ganesh si adirò, si staccò una zanna e la scagliò contro la luna, che a poco a poco divenne scura, dando così origine alle fasi lunari. Ganesh infatti è raffigurato con una grossa pancia, ed è detto Lambodara, “Pancia grassa”. Nei racconti popolari (e, come si è visto, nell’iconografia buddhista) essa è il segno della sua golosità, ma in realtà rappresenta l’immensità dell’Universo, sulla quale l’immagine di Ganesh invita a meditare.

Shiva, Parvati e Ganesh
La zanna spezzata (altro nome di Ganesh è Vakratunda, “Zanna spezzata”) è invece simbolo del sacrificio, la perdita di un elemento di bellezza esteriore, la rottura di un equilibrio formale (la testa del dio è divenuta asimmetrica, e nell’iconografia indiana la simmetria riveste grande importanza), a favore però del raggiungimento di un equilibrio superiore, di uno stadio evolutivo più alto.
Per completezza, è da dire che l’elefante decapitato divenne un Gandharva, una divinità (minore) dell’aria, associata al matrimonio e soprattutto al concepimento.
Per gli Indiani, Ganesh era ed è soprattutto la personificazione delle energie che rimuovono gli ostacoli. Sia gli ostacoli materiali, ed allora ci si rivolge a lui quando si inizia la costruzione di una casa, o si intraprende una nuova attività, o si parte per un viaggio,… Sia gli ostacoli che si incontrano in un cammino spirituale che tende alla liberazione, alla conoscenza suprema. Allora, Ganesh è detto Vignaharta, “Distruttore degli ostacoli”, o Vighnaraja, “Signore degli ostacoli”.
Ganesh in forma di OM
Nella sua azione, Ganesh si dimostra anche molto astuto, oltre che forte. Un giorno entrò in competizione con il fratello Kartikeya (noto anche come Skanda, o Murugan, o Kumara – si ricordi Capo Comorin, estrema punta meridionale dell’India), per acquisire il dono della saggezza suprema. Il padre, Shiva, decise che lo avrebbe dato a chi avesse fatto per primo tre giri intorno al mondo. Kartikeya salì sul suo veicolo, il pavone, e volò via. Ganesh, sapendo di essere troppo pesante, e di avere un veicolo, il topo, troppo lento, girò per tre volte intorno a Shiva e Parvati, affermando che essi erano il centro del mondo e che l’Universo intero si riassumeva in loro. Ed ebbe il premio.
In un’analoga storia, il premio era invece il matrimonio. Ganesh vinse, e sposò due sorelle, Siddhi e Buddhi. È qui evidente il simbolismo della vicenda, in quanto Siddhi significa “compimento” (si rammenti Siddhartha, “colui che ha raggiunto lo scopo”), e Buddhi è “saggezza”, dalla radice budh-, “comprensione”, “intelletto”.

Ganesh cavalca Mushika
Si è detto che il veicolo (vahana) di Ganesh è un topo, di nome Mushika (cfr. il greco μυς, il latino mus, l’inglese mouse, il tedesco maus). Una volta, una divinità dell’aria, il Gandharva Kraunka, insultò un grande maestro, e per questo venne trasformato in un enorme topo. Seguendo il suo nuovo istinto, entrò in un villaggio e fece enormi danni. Il capo-villaggio chiese aiuto a Ganesh, il quale domò il topo e ne fece il proprio veicolo. Se Ganesh è legato alle attività della mente e rappresenta l’energia che elimina gli ostacoli che ne condizionano l’evoluzione, il topo simboleggia i desideri più bassi e meschini che corrodono lo spirito. Ma Ganesh non solo li vince, ma li soggioga e ne utilizza la forza, cavalcandoli. È l’essenza del Tantra, ovvero non opporsi alle energie “negative”, bensì trasformarle e canalizzarle con finalità evolutive: è il “cavalcare la tigre”.
Ugualmente significativi sono gli altri elementi dell’iconografia di Ganesh: spesso è raffigurato in piedi, mentre danza (Nritya Ganapati), in evidente e forse ironica analogia con l’immagine di Shiva Nataraja, “Signore della danza”, e qui rappresenta la continua distruzione e creazione dell’Universo (quest’ultima simboleggiata dal tamburello che entrambi reggono in una mano).
La testa di elefante è la saggezza, la conoscenza profonda, la memoria cosmica, la tradizione che si tramanda di generazione in generazione.
Il terzo occhio è simbolo della forza del fuoco purificatore (gli altri sono le energie del Sole e della Luna).
La zanna spezzata, lo si è visto, è il sacrificio di una parte di sé (ovvero di una falsa immagine di sé), a favore di una visione superiore. La zanna integra è invece la saggezza discriminante (viveka): come la zanna sposta oggetti pesanti o leggeri, usando la forza in maniera discriminante, così il saggio agisce distinguendo gli effetti delle proprie azioni.
Attorno alla vita, o ad una spalla, Ganesh porta spesso un serpente, simbolo dell’energia cosmica.
Gli oggetti che Ganesh tiene nelle mani, nelle 32 principali forme iconografiche nelle quali è venerato, anche anch’essi precisi rimandi simbolici, come già si è visto per Ganga, Padma, Kali… Alcuni esempi:
- un dolce di riso: la dolcezza della via spirituale
- la canna da zucchero: è dura da coltivare e raccogliere, ed è quindi il dolce equilibrio spirituale a cui si perviene al termine del cammino
- un laccio: la liberazione dagli attaccamenti
- il pungolo da elefanti: lo stimolo a mantenere la corretta via spirituale
- le armi: la lotta contro i difetti umani
- gemme, ghirlande di fiori…: simboli di pace
- il loto su cui siede: la purificazione, l’evoluzione spirituale.

Il culto

Come si è detto, Ganesh è venerato da milioni di persone in ogni parte dell’India, specialmente nell’Ovest e nel Sud, e sono ben 32 le principali forme iconografiche verso le quali si esprime la devozione dei suoi seguaci: Ganesh bambino, ragazzo, di colore argenteo o dorato o rosso, con 4 o 16 braccia ecc.
Ogni fedele, ogni famiglia, ogni gruppo, sceglie la forma che più sente affine ed efficace, a seconda delle proprie motivazioni, delle proprie tradizioni o condizioni personali e sociali…
Il culto attraverso le immagini è parte del Bhakti Yoga, lo Yoga della devozione, che ha due aspetti:
- Para Bhakti, il più elevato, in cui il devoto, senza più compiere riti, è totalmente e costantemente immerso nell’amore per la divinità, e vi si identifica (si ricordi la devozione di Ramakrishna verso Kali). È una forma di ascesi mistica, nella quale scompare ogni distinzione tra soggetto e oggetto, e che coinvolge completamente la persona e la sua stessa esistenza.
- Apara Bhakti, seguito dalla maggior parte dei devoti. Alla divinità vengono fatte offerte, e nel suo nome vengono compiuti rituali più o meno complessi (puja), nei templi o nelle stesse abitazioni. Il devoto siede in meditazione silenziosa di fronte ad una immagine del dio (che può anche essere rappresentato da una pietra, o da un mucchietto di semi…), oppure recita inni sacri o ripete i mantra della divinità: uno dei mantra di Ganesh è OM GAM GANAPATAYE NAMAH. Una forma di rituale prevede ad esempio la ripetizione dei nomi di Ganesh per 21, 108 o 1000 volte, con offerte di fiori o foglie ad ogni nome. Le offerte comprendono fiori, frutta, latte, acqua, burro fuso, luci, suoni di campane, canfora, incenso…
Ogni gesto, ogni oggetto, hanno un preciso significato simbolico, e nulla è lasciato al caso, compreso il momento in cui compiere il rituale:
- L’acqua spruzzata è la purificazione di sé e dei luoghi.
- L’offerta dei fiori è fatta con 5 dita, ovvero si offrono i 5 sensi.
- I fiori vengono portati prima al cuore, poi sono offerti al dio: è l’offerta di sé, mente e cuore.
- Il devoto compie 3 giri in senso orario intorno all’immagine del dio: è il viaggio verso il divino, passando attraverso i tre mondi, le regioni inferiori, la terra e il cielo.
I devoti di Ganesh, è evidente, non credono che in qualche angolo del cielo o su qualche remota montagna viva un essere per metà uomo e per metà elefante a cavallo di un topo, che farà loro superare un esame o avere successo nel commercio, o evitare incidenti stradali…
Per loro, Ganesh è l’immagine, la personificazione, della pazienza, dell’energia che abbatte gli ostacoli, della saggezza. Scopo della meditazione, delle offerte, dei rituali, è risvegliare in sé quelle qualità che il dio rappresenta, è divenire essi stessi Ganesh. Oppure Kali, brahman, Dio, Cosmo, Realtà Ultima, o quale che sia il nome, del tutto approssimativo, provvisorio, convenzionale, che si vuol dare all’Autentico Sé.

Testi citati

Stutley, Dizionario dell’Induismo, Ed. Ubaldini
Schumann, Immagini buddhiste, Ed. Mediterranee
Zimmer, Miti e simboli dell’India, Ed. Adelphi
Herbert, L’induismo vivente, Ed. Mediterranee
Morretta, Miti indiani, Ed. Longanesi
O’ Flaherty, Dall’ordine il caos, Ed. Guanda
Pulga, Sul monte Kailash, Ed. Il gatto e la volpe
Vacchetto, Ganesh, Ed. Mondadori Oscar

m. Mauro TonKo, gennaio 2012

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